Smart working è sinonimo di working at home?
I numeri confermano la tendenza crescente del lavoro agile, voluto dalle aziende per ottimizzare i flussi e dai dipendenti per un miglior work-life balance. In questo contesto, lavorare da casa è spesso la prima scelta, rispettando i cardini normativi e cercando un alleato nel design, a cui si chiede, per esempio, di trovare il modo per trasformare, all’occorrenza, un angolo del salotto in una comoda postazione di lavoro
L’evoluzione del lavoro d’ufficio ha visto fin dagli anni 60 continui cambiamenti nel modo di intendere sia gli ambienti di lavoro sempre più performanti (sedie, tavoli pareti attrezzate, sistemi di illuminazione, ecc.), sia gli strumenti di interfaccia (Pc, Tablet, Smartphone, Internet, connessioni velocissime, wifi, ecc.).
Con l’avvento dell’informatica legata a Internet e alla diffusione planetaria delle relative tecnologie si è assistito alla possibilità di gestire e trasferire enormi quantità di dati in tempi brevi e a costi accessibili. Ciò ha provocato la comparsa di nuovi device portatili e trasportabili che hanno sostanzialmente cambiato il nostro modo di vivere e di lavorare, non più legato a un ambiente fisso e costrittivo, ma più ‘liquido’ e quindi fruibile in spazi diversi all’interno e al di fuori dell’ufficio. Una vera e propria rivoluzione nelle modalità di accesso alle informazioni, nei comportamenti e nei linguaggi, aumentando esponenzialmente i processi di comunicazione e di interrelazione tra le persone impegnate nei più vari contesti lavorativi.
L’avvento dell’IoT (Internet of Things) ha reso poi disponibili strumenti focalizzati sul monitoraggio dello stato di salute e delle attività quotidiane delle persone, determinando una focalizzazione dell’attenzione e dell’interesse generale sul concetto di Benessere. Inizia così un processo di sostanziale cambiamento del mondo ufficio che impatta profondamente sull’organizzazione aziendale, i layout, gli arredi e gli strumenti di lavoro, tracciando una linea di confine tra il ‘vecchio modo di lavorare’ a postura fissa prolungata, presente negli uffici tradizionali, a una dinamica di lavoro basata sul movimento.
Questa nuova filosofia del benessere, della comunicazione e dello scambio di informazioni in tempo reale ha preso spunto dalle numerose ricerche nel campo dell’analisi posturale che hanno messo in luce come nell’ufficio tradizionale una persona stava seduta in media circa 80.000 ore, cioè circa 3300 giorni: più di 9 anni!
Questi dati, analizzati più a fondo, hanno evidenziato come la postura risulti il più critico tra tutti i fattori presenti nel lavoro d’ufficio e quello con maggiori ricadute sulla qualità di vita delle persone e sui cali di efficienza produttiva, che possono arrivare fino al 35% e in alcuni casi andare oltre il 50%, dato che mal si coniuga con le pressanti esigenze di efficienza produttiva delle aziende moderne.
Postura fissa prolungata vs Movimento
Per risolvere il problema della postura fissa prolungata, che mette a rischio soprattutto il tratto lombo sacrale del rachide, sono stati immessi sul mercato prodotti diversi. La progettazione si è spinta verso soluzioni anche molto stravaganti e ardite: dalle sedie iper tecnologiche che consentono movimenti una volta impossibili alle sfere bilanciate sulle quali le persone possono sedersi in maniera dinamica muovendo di continuo il tratto lombosacrale che sta alla base del corretto nutrimento dei dischi intervertebrali, fino ad arrivare agli sgabelli dinamici di che, consentendo all’operatore di lavorare in piedi, hanno favorito la diffusione di postazioni sit-stand alzabili/abbassabili in modo semplice e intuitivo.
Naturalmente, l’impegno dei progettisti non si è limitato solamente al mondo dell’arredo, ma ha investito tutto l’ambiente di lavoro prendendo in considerazione microclima, illuminazione, controllo del rumore, continua ottimizzazione dei layout in funzione delle diverse attività svolte e delle necessità di comunicazione, nonché il miglioramento della tecnologia in chiave funzionale per rendere i diversi device più ‘amichevoli’ al fine di ridurre lo stress da interazione Uomo-Macchina.
Tecnologia vs Funzionalità
La comparsa dell’IOT e dei Big Data, che consentono raccogliere e gestire enormi flussi di informazioni facilmente e in tempi estremamente brevi, ci permette oggi di passare da una progettazione tradizionale a un design sensoristico. Attraverso la sensoristica evoluta possiamo infatti misurare con estrema precisione le dinamiche di movimento degli utilizzatori durante il lavoro nei diversi contesti, per restituire ai progettisti delle vere e proprie linee guida ergonomiche che permettono una progettazione user-centered con evidenti benefici sull’efficienza lavorativa e il benessere delle persone. Tutto ciò non solo in ufficio, ma anche in ambito industriale con evidenti miglioramenti sia in termini di prevenzione per le nuove generazioni di lavoratori, sia di controllo del rischio e di attenuazione delle patologie per i lavoratori che, già immessi nel circuito lavorativo, saranno impegnati fino in età avanzata e quindi maggiormente esposti a disagi posturali e a patologie muscolo scheletriche.
Negli ultimi dieci anni si è passati da un ufficio costrittivo a un ufficio gradevole ponendo l’attenzione sul comfort che è un fenomeno percettivo, quindi soggettivo e percepito dalla persona in forma “globale”. Ciò significa che ognuno di noi ha una percezione complessiva del comfort, per cui anche un piccolo elemento non in equilibrio o mal progettato può alterare l’intera percezione dando come risultato un’insoddisfazione della persona che utilizza quell’ambiente, quegli strumenti e così via. È per questo motivo che anche i responsabili delle risorse umane vengono sempre più coinvolti nel processo di progettazione offrendo importanti indicazioni per passare da un’organizzazione costrittiva a un’organizzazione motivante.
Organizzazione Costrittiva vs Organizzazione Motivante
Negli ultimi 15 anni le grandi aziende, e di recente anche quelle più piccole, sono più attente agli aspetti motivazionali estrinseci, in altre parole a tutte quelle azioni che l’azienda può attivare per motivare efficacemente le persone: dai piani di carriera trasparenti agli incentivi economici, dai benefit al welfare e così via. Tutto ciò rappresenta un patrimonio di conoscenza considerato un fattore strategico nella gestione delle risorse umane per il perseguimento degli obiettivi di efficienza e di successo aziendale.
Oggi le organizzazioni hanno piena consapevolezza che per essere competitive su un mercato molto aggressivo e globale è necessario possedere la squadra migliore, che significa disporre delle persone migliori all’interno della propria organizzazione.
Ma per fare ciò bisogna andare oltre tutte le utilissime e necessarie azioni svolte finora, riflettendo sui cambiamenti avvenuti a livello sociale (nuove forme di contratto, i nuovi obiettivi delle persone in merito al tempo libero e così via), che obbligano le aziende a concentrare la propria attenzione sul cambiamento del rapporto tra la cosiddetta vita costretta rispetto alla vita vera.
Vita ‘costretta’ vs Vita ‘vera’
La vita costretta è quella percezione dell’individuo che sente di dover svolgere delle mansioni (lavoro) talvolta estranee e finanche non volute, ma necessarie per poter sopravvivere in un ambiente socio-economico molto esigente qual è quello delle società industrializzate. Alla vita costretta fa da contrappunto la cosiddetta vita vera, cioè quei momenti di tempo libero dedicato ad attività molto gradevoli per il soggetto (fare sport, avere tempo per se stessi, stare con i propri cari, ecc.) che in un mondo globalizzato e iper competitivo sono da un lato precluse e dall’altro agevolate da forme contrattuali come il part time o il lavoro a chiamata che consentono a moltissime persone di effettuare una scelta diversa, in modo particolare nel nostro Paese. Non tenere conto di questo fenomeno, una volta quasi sconosciuto, espone le aziende a elevati turnover di personale, depauperamento del know-how aziendale e bassa efficienza.
La nuova sfida, per tutti i livelli aziendali, ma maggiormente per i profili più elevati a livello organizzativo, diventa quindi quella di cercare di capire come coniugare e condividere il disegno di vita (che varia nel tempo) del singolo collaboratore, con quelli dell’organizzazione. Ed è questa una sfida che si gioca nel campo della motivazione intrinseca, cioè a un livello psicologico molto più profondo tra persone e organizzazioni.
In quest’ottica è evidente che il benessere in ufficio, piuttosto che sul luogo di lavoro in senso più generale, rappresenta il pre-requisito funzionale che deve essere necessariamente accompagnato da altri interventi nei campi della organizzazione aziendale, della comunicazione dello sviluppo di relazioni umane motivanti e produttive, nella accettazione di condivisione di tempi e di azioni che sono state fino a oggi separate tra tempo di lavoro e tempo libero.
In estrema sintesi si potrebbe dire che l’obiettivo di una Felicità 4.0 si ottiene solo se si riesce a dare piena attuazione al concetto di felicità espresso da Friedrich Nietzsche quando afferma che “La felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa”.