I nuovi arredi operativi fra flessibilità ed ergonomia
È dall’osservazione dei modelli lavorativi e dagli approcci progettuali che si delinea il design contemporaneo dell’arredo operativo, fra cura della persona, applicazione di criteri di ergonomia sociale e flessibilità dei sistemi.
Agli arredi operativi si chiede tutto: che soddisfino il desiderio di personalizzazione pur mantenendo le caratteristiche delle produzioni seriali, il rispetto del nuovo modo di intendere l’ergonomia e al tempo stesso capacità di offrire un ventaglio di suggestioni emotive ed estetiche. L’obiettivo? Massimizzare l’efficienza sul luogo di lavoro e garantire la soddisfazione dei dipendenti.
Risultato ambizioso, dunque, ma se rincorso in sinergia fra le parti, spesso raggiungibile. Perché se i designer sviluppano sistemi flessibili, modulari e versatili, riusciranno a rispondere alla richiesta di serialità da parte dei produttori e, contemporaneamente attraverso la componibilità, offrire un prodotto che permetta di studiare layout su misura per il committente. E se la considerazione verso l’ergonomia diventasse più aperta e lungimirante, passando dalla semplice possibilità di regolazione dei singoli elementi d’arredo alla progettazione di spazi per il benessere cognitivo e sociale, avendo l’utente come punto di partenza e di arrivo, allora un altro obiettivo verrebbe centrato.
Dallo studio sull’evoluzione dello space planning e dall’indagine sul nuovo concetto di ergonomia, prende forma lo scenario sul campo degli arredi operativi.
L’area operativa si trasforma e assume nuovi significati
Fra i vari compiti di architetti e designer c’è la missione, fondamentale, di percepire la direzione verso cui va l’innovazione e raccogliere i cambiamenti in corso, nello specifico quelli relativi ai metodi di lavoro, per trasferirli nel progetto degli spazi e nel design degli elementi d’arredo.
Nell’ufficio i cambiamenti in atto sono riconducibili all’accresciuta mobilità concessa dalle nuove tecnologie, oggi le aziende puntano infatti su flessibilità e agilità, richiedendo all’architetto di configurare gli spazi secondo logiche di activity based working che permettono alle persone di scegliere dove svolgere la propria attività. Cambia così anche il modo di intendere l’area operativa che assume nuove funzioni, come racconta l’architetto Jacopo della Fontana, di Design to Users: “credo non sia più necessario, né opportuno, settorializzare gli spazi ufficio in aree operative e non. La tipologia di lavoro è talmente variegata e la necessità di condivisione durante i momenti della giornata talmente forte che le persone in azienda, specie le nuove generazioni, non possono più essere relegate unicamente nelle cosiddette aree operative, perché potrebbero sentirsi sminuite con riflessi negativi sulla capacità creativa e la produttiva. Naturalmente c’è ancora bisogno di scrivanie operative per appoggiare il proprio laptop o ipad, scrivere e trasferire i dati, ma cambia il contesto in cui sono inserite: non più open space che contemplano ‘batterie’ di piani di lavoro, ma un menu di ambienti pensati per supportare il mix di attività della giornata. Dunque il modello open space continua a essere attuale, ma la sua configurazione è profondamente cambiata: non si tratta più di grandi spazi indifferenziati controllati dall’ufficio direzionale di competenza, ma di aree più contenute attrezzate con scrivanie e intermezzate da sale riunioni di diversa dimensione e zone di socializzazione arredate con arredi più informali e confortevoli per dar luogo a scambi di esperienze coi colleghi.
Non viene più dunque una netta distinzione funzionale degli uffici – con i piani open space per le funzioni operative, il piano direzionale con uffici chiusi e il piano delle sale riunioni – ma vengono creati sottoinsiemi modulari e ripetuti, ciascuno con un mix di funzioni, in modo da dare la possibilità ai diversi gruppi di lavoro ricreare un baricentro di interesse. La stessa mensa assume il significato di spazio trasversale utilizzato anche in ore diverse da quelle del pranzo”.
In questo contesto, la definizione di “arredo ideale” diventa complessa, perché dovrebbe riuscire a integrare tanto le necessità proprie degli spazi aperti quanto quelle specifiche di ogni individuo; ospitare sistemi tecnologici e rispettare i principi legati all’ergonomia e, quindi, al benessere della persona. Impresa impossibile?
“Sembra banale – prosegue della Fontana – ma gli arredi devono essere comodi, belli ed efficienti e quando manca uno di questi tre elementi diventano velocemente obsoleti. Non va poi dimenticato che il vero plus sta nell’organizzazione architettonica dello spazio, piuttosto che nel singolo arredo, e nella capacità degli impianti di adattarsi alle diverse funzioni ed esigenze delle persone durante l’arco della giornata. In quest’ottica l’applicazione dei principi ergonomici assume un significato più ampio, in quanto le diverse configurazioni di arredo sono utilizzate nel corso della settimana, per non dire della giornata, da attori diversi con caratteristiche fisiche e percettive differenti; altezza, luce, accessibilità dovranno essere non solo facilmente adattabili alle caratteristiche del singolo, ma anche memorizzabili dal sistema e, proprio come avviene per i sedili delle automobili più evolute, autoconfigurabili nel momento che ‘riconoscono’ l’utente”.
Altro argomento spinoso: i costi. Quanto influenzano le scelte progettuali? Il risparmio è sempre sinonimo di ottimizzazione o rappresenta un pericolo celato? “È innegabile che l’attenzione ai costi è sempre importante e incombente”, continua della Fontana, “ma proprio perché i nuovi modelli spaziali consentono di risparmiare sulle quantità, non si dovrebbe esagerare nell’appiattimento qualitativo, ma guardare al risultato complessivo. L’indicatore del risparmio non può essere applicato come unico driver del progetto, altrimenti il rischio è la percezione negativa da parte dell’utente che non riconosce la volontà dell’azienda di metterlo nelle migliori condizioni per lavorare. Si può avere a disposizione meno spazio ma complessivamente deve essere meglio attrezzato; anche il design dell’arredo ha un grande peso perché un buon prodotto produce curiosità, interesse ed empatia in chi lo usa, mentre uno anonimo e privo di attenzioni tattili, visuali ed ergonomiche non invita all’utilizzo e al lavoro”.
L’evoluzione della domanda guida l’innovazione del prodotto
Mediatori fra l’ideale e il concreto, fra un progetto di arredo custom made e la serialità, le aziende attive in questo settore cercano in continuazione l’equilibrio, inteso come la capacità di proporre arredi per le aree operative in grado di soddisfare le richieste progettuali degli architetti, concentrate sulla volontà di dare una chiara identità a ciascun intervento, e la capacità di produrre ottimizzando la filiera. Riuscire in questa impresa è talvolta complicato, ma trasferendo nei progetti d’arredo parole d’ordine come flessibilità, versatilità e capacità di ottenere il massimo dalla tecnologia, è possibile raggiungere il traguardo.
Fra evoluzione dei metodi di lavoro e conseguente richiesta di arredi coerenti con questo nuovo flusso, come è cambiata la domanda? Risponde Alberto Mandelli, R&D Manager di Tecno: “sono cambiati tempi e luoghi, in diretta relazione agli strumenti oggi disponibili.
La velocità con cui vengono scambiate le informazioni, la necessità di lavorare in team allargati e di svolgere quick meeting unite alla volontà di creare ambienti in grado di assecondare le esigenze sia lavorative che personali degli utenti hanno portato gli space planner a organizzare lo spazio in maniera fluida, flessibile, con aree in grado di offrire soluzioni differenti per i differenti momenti lavorativi, dal caffé di lavoro, agli spazi di co-working e social hub , sino a spazi per coltivare il proprio benessere fisico. L’obiettivo è fidelizzare il lavoratore e renderlo sempre più parte attiva e integrata dell’azienda.
In questo contesto il prodotto non è più solo un oggetto, si è trasformato in uno strumento di lavoro in grado di aumentare la produttività dell’utente proprio per la sua efficacia. Da qui nasce l’esigenza di favorire attraverso di esso la condivisione, lo scambio, il comfort e lo svolgimento delle attività. Un punto fermo nell’approccio dei nuovi prodotti è l’attenzione all’eco sostenibilità riferita non solo al prodotto finito, ma all’intero processo tecnologico. Tessuti attivi in grado di migliorare l’ambiente, purificando l’aria, sono un esempio del modo in cui i materiali si evolvono e acquisiscono funzioni fino ad ora impensate. L’IoT, inoltre, aumenta significativamente il contributo del prodotto all’interno dell’ecosistema del building”.
“Il mondo del lavoro è cambiato e le aziende devono rispondere a questi cambiamenti attraverso la creazione di spazi che supportino i bisogni e le diversità di ciascuno – afferma Chloe Richardson, director of product management EMEA. Dal punto di vista pratico, questa tendenza si rispecchia nella varietà di modelli e sistemi offerti dalle aziende. In Hermann Miller pensiamo che un arredo ben progettato possa avere un impatto, positivo e diretto, sul successo di un’azienda. Negli ultimi anni abbiamo assistito al passaggio da aree operative con un alta densità di postazioni fisse a layout meno formali, in cui ciascun lavoratore può scegliere dove e come lavorare e, di conseguenza, regolare gli arredi secondo le proprie esigenze. Seguendo questa tendenza, sono in corso continui cambiamenti relativi ai materiali, alle tecnologie e alla filiera”.
Marco Spanio, export manager Italia di Quadrifoglio mette in luce ulteriori dettagli soffermandosi sulle scelte green di prodotto e di processo: “in linea con le direttive europee, si chiede alle aziende di realizzare prodotti che tengano conto dell’impatto ambientale, del ciclo di vita e del percorso post vita, secondo i principi dell’economia circolare. Si tratta di una richiesta che non può più tradursi in una vuota dichiarazione, come avveniva in passato, ma deve essere affrontata in modo concreto. Un’altra tendenza riguarda l’attenzione verso l’utente finale, l’innovazione infatti deve essere in linea con la funzione svolta dando al lavoratore, più che all’oggetto in sé, un ruolo di primo piano. Ne consegue la diffusione di sistemi sit-stand, di arredi che integrano tecnologie e interagiscono con i device personali, di schermi divisori cablabili e con funzione di correzione acustica”.
Gli elementi fondamentali per un arredo efficace
In un contesto di smart working, di flussi di lavoro in rapida evoluzione e persone in continuo movimento è ancora possibile definire dei punti fissi nella realizzazione degli arredi?
“Cerchiamo di sviluppare i prodotti rispondendo alle esigenze, in continuo mutamento, dei nostri clienti”, racconta Chloe Richardson. “Con il sistema Atlas Office Landscape, non abbiamo pensato di creare solo una scrivania regolabile in altezza, ma un sistema che stimola condivisione ed efficienza, tenendo conto che le relazioni e il senso di appartenenza a un ambiente lavorativo sono ottenuti anche attraverso la condizione posturale con cui ci si rapporta. Le conversazioni sono più spontanee se gli utenti si trovano allo stesso livello, sia seduti che in piedi. Mentre con il sistema Memo si è voluto reinventare la struttura della scrivania tradizionale, cercando di implementarne la funzionalità. È stato infatti sostituito il tradizionale sistema a trave e di sottostruttura con un pannello centrale che funge da “colonna” e fornisce piani di lavoro flessibili, favorendo i sistemi di benching”.
“Abbiamo individuato tre filoni di evoluzione – continua Marco Spanio –. In primo luogo una maggiore attenzione alla componente del cablaggio, tenendo infatti in considerazione i device di cui ciascuno dispone, i nuovi arredi non si rivolgono più solo alla persona ma anche a queste “estensioni” tecnologiche. In secondo luogo, in risposta ai nuovi stili di vita e all’uso sempre più diffuso di postazioni condivise, vi è una maggiore richiesta di vani personali con serratura, dove riporre caschi, borse per la palestra, contenitori per il pranzo, ecc. Infine si assiste alla crescente attenzione verso la correzione acustica. Ai nuovi arredi è affidata dunque una corretta gestione del suono e del riverbero.
Il design rimane una costante nella domanda di arredi. Alle aziende italiane viene richiesto di default che il prodotto abbia caratteristiche estetiche che le differenzino da quelle di tutti gli altri paesi del mondo”.
“Gli arredi operativi – conferma Alberto Mandelli – hanno la prerogativa di facilitare l’attività lavorativa, non solo dal punto di vista squisitamente tecnico, adattandosi all’utente e alle sue necessità mediante la regolazione in altezza o favorendo un accesso facile e veloce all’alimentazione e ai dati, ma anche dal punto di vista del miglioramento del benessere di chi lavora, attraverso la gestione acustica e luminosa dell’ambiente o l’utilizzo di colori che favoriscono la concentrazione. L’unione di questi aspetti risulta fondamentale per ottenere l’eccellenza produttiva tanto ricercata”.