Le pareti multifunzione
Protezione acustica e flessibilità rimangono richieste fondamentali quando si sceglie una parete divisoria per l’ufficio. Oggi, però, entrano in gioco anche altri fattori, tra i quali la multifunzionalità, l’integrazione tecnologica e la scelta dei materiali
“Una parete concepita come sistema aperto e in continua evoluzione riesce a interagire con le superfici architettoniche ed essere sottostruttura per gli altri ‘attori’ di un progetto di interior come luci, arredi, superfici materiche, strumenti di comunicazione, tende, sistemi di occultamento visivo. Con essa il progettista dispone di un alfabeto variegato per scrivere il proprio racconto progettuale e, allo stesso tempo, gestire la complessità del progetto con un unico interlocutore” così Egidio Panzera, architetto e designer, sintetizza il nuovo ruolo delle pareti in un progetto per l’ufficio.
Elemento compositivo imprescindibile, la parete mobile sta vivendo un momento di passaggio, trasformandosi da sistema per creare privacy a soluzione multifunzionale che si apre a una moltitudine di significati: non solo parete per dividere, ma sistema che assume nuove funzioni: può delimitare, guidare, comunicare, ispirare…
La parete mobile attraversa dunque un momento di transizione verso nuove interpretazioni, guidate dai cambiamenti legati sia alla ricerca di nuove composizioni per gli spazi di lavoro post-pandemia, sia alle innovazioni tecnologiche che sempre più saranno integrate nei sistemi-parete, sia alle novità in ambito materico dove la sostenibilità rappresenta il motore principale di sviluppo.
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Il ruolo della parete nei nuovi luoghi del lavoro
Se, nel recente passato, le pareti divisorie per uffici venivano installate soprattutto per creare aree riservate nel contesto di ampi open space, con l’obiettivo di garantire privacy quando necessaria, oggi, post-pandemia, la realizzazione di aree private delimitate risponde più spesso alla necessità di ‘dividere’ i gruppi, di creare ‘distanziamento’ e ridurre la densità dei lavoratori negli spazi comuni, complice il minor numero di dipendenti presenti negli uffici. Ne parla Massimo Gianquitto, architetto e chairman di Level Office Landscape: “Con l’avvento dell’activity based working, unito all’incremento della tecnologia di cloud computing, specie in contesti aziendali strutturati, si è assistito a una crescente diffusione del modello open space con una riduzione sostanziale dell’uso delle pareti divisorie. Vi era infatti una scarsa necessità di separare all’interno dei luoghi di lavoro, fatta eccezione per sale riunioni, zone training e formazione. La scelta ricadeva quindi sulla realizzazione di uno spazio fluido e flessibile, meno rigidamente determinato. La pandemia ha messo in crisi questa modalità di organizzazione del lavoro e dello spazio, unita al bisogno di privacy legato alle attività di focus work. Molti dei lavoratori delle grandi aziende non sono ancora rientrati in ufficio, continuano a svolgere la propria attività da remoto in attesa di un ripensamento generale dell’ufficio, che richiede particolare attenzione all’introduzione di postazioni di lavoro maggiormente separate e distanziate, anche attraverso partizioni mobili che riducono la densità e garantiscono la sicurezza dei lavoratori. Oggi vi è dunque una decisiva inversione e un ritorno più evidente al ‘closed office’, a sostegno dell’idea di uno spazio delimitato, sicuro, protetto e controllabile”.
Il parziale ritorno a spazi chiusi, non è un passo indietro, ma la spinta a una nuova chiave di lettura del contesto in cui si inserisce la parete che viene reinterpretata con risultati molto diversi rispetto a quanto avvenuto in passato, come racconta Massimo Roj, amministratore delegato di Progetto CMR: “Le dinamiche sociale e relazionale continueranno a rendere imprescindibile lo spazio dell’ufficio. Se è vero che abbiamo imparato a svolgere molte delle nostre attività online, in remoto, è anche vero che c’è qualcosa che nessuna call o videoconferenza potrà mai sostituire: il valore degli incontri, degli scambi, delle interazioni in presenza, dalle quali molto spesso emergono spunti innovativi e strategici per le organizzazioni aziendali. Il luogo di lavoro è diventato una destinazione che genera un’esperienza di qualità, uno spazio che guida il cambiamento, sempre più intuitivo, multisensoriale e fluido, ma al contempo sicuro e flessibile. In una parola: uno spazio a misura d’uomo. Quello che crediamo sia stato accelerato negli ultimi mesi è quindi proprio il passaggio da workingspace a livingplace; uno spazio che promuove l’empowerment delle persone, dove la comunità e la socialità sono il nuovo cardine – come in molti dei nostri spazi di vita extra lavorativa – dove fisico e digitale dialogano e si completano per dar vita a uno spazio flessibile e adattabile.
In questo contesti i sistemi parete stanno trovando un’evoluzione. I temi del confinamento dovuti all’emergenza sanitaria hanno fatto molto riflettere su quale strada intraprendere e se tornare a progettare spazi chiusi. È invece emersa una nuova esigenza, quella di avere sì luoghi confinati, ma autonomi rispetto alle strutture interne degli edifici. Oggi sono sempre più diffuse delle piccole stanze, perimetrate da sistemi parete, ma completamente autonome dal punto di vista strutturale e impiantistico. Degli spazi riunione, con pareti e soffitto autoportanti, e dotati degli impianti (condizionamento, illuminazione e ventilazione) che consentono il loro posizionamento in ogni ambiente, senza limitazioni, realizzando spazi protetti anche all’interno di grandi open space”.
È il concetto stesso di parete il punto di partenza della riflessione di Egidio Panzera: “Una parete come un muro ha avuto, da sempre, infiniti significati, interpretazioni e semantiche. Un muro impedisce un’azione, delimita movimenti, marca delle diversità, ma allo stesso tempo può accogliere e raccontare delle storie, essere testimonianza dell’accaduto. I muri, le pareti, come prima traccia dell’architetto sul foglio bianco, hanno il compito di raccontare l’idea, il progetto. Oggi sui luoghi lavorativi, dinamici, eterogenei, veloci e contaminati, occorre superare il concetto di parete che risponde al minimalismo esasperato e al tecnicismo della performance. Queste sono pareti rigide e immutabili. Una parete oggi deve perdere l’aspetto di un limite fisico e deve poter crescere e modificarsi, prendere forme mutevoli in termini di finiture, estetica e funzioni; deve interagire con l’architettura e con l’uomo, con i sensi dell’uomo, deve restituire un’esperienza sinestesica”.
Alle richieste di designer e progettisti deve rispondere il mondo della produzione, per adattare le proposte alle nuove esigenze e modulare l’offerta in questa ottica, comprendendo anche temi meno legati alla parte progettuale ma più a quella produttiva, come la garanzia sui tempi di consegna e lo studio sui processi produttivi e i materiali da utilizzare.
L’esperienza di Vetro In, descritta da Maurizio Sacchi, Ceo, può essere da esempio: “Al momento l’offerta è molto completa e, se analizziamo le partizioni vetrate, negli anni si è passati dalla parete monovetro alla doppio vetro, e ultimamente qualcuno propone anche il terzo vetro; per la parte profili si è passati da profili importanti a profili minimali fino a farli sparire incassati nel pavimento e soffitto. Mentre per quanto riguarda la classica parete in legno, che mantiene sempre buona fetta di mercato, non ci sono state grandi novità. Le richieste sono principalmente inerenti alle prestazioni della parete, si parla quasi sempre di prestazioni acustiche oppure dal punto di vista estetico sempre più viene chiesto di avere finiture personalizzate, nella maggior parte dei casi si tratta dei profili, ma alcune volte anche di vetri con decori particolari oltre a integrare accessori d’arredo”.
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Parola d’ordine: multifunzione
La rilettura in chiave moderna del sistema parete mira ad ampliarne le funzioni e le possibilità compositive: dall’integrazioni di luci e arredi all’applicazione delle tecnologie, diversi sono i plus che sempre più spesso i ‘filtri divisori’ comprendono e offrono moltiplicando le possibilità di utilizzo.
“Se immaginiamo di superare il concetto di parete unicamente come limine fisico, ma gli affidiamo nuovi ruoli e performance, avviene che una ‘stratificazione’ di funzioni e soluzioni si moltiplicano lungo di essa – puntualizza Panzera –. Può accogliere sistemi di occultamento visivo come tende e listelli di legno orientabili, potrebbe essere attrezzata con mensole e sistemi di arredo, accogliere pannelli fonoassorbenti e whiteboard scorrevoli.
Sorgenti luminose lineari integrate alla parete oltre a illuminare, possono scandire la scatola architettonica, evidenziare delle matericità, sottolineare le vie di fuga o essere a servizio della comunicazione aziendale. Questa stratificazione di nuovi contenuti funzionali permette di generare luoghi anche in spazi diversi dall’ufficio come negozi, showroom, hotel, aeroporti, hub ferroviari, caffè e ristoranti”. Cresce l’importanza della tecnologia integrata e, specificatamente dell’IoT, per dare risposte efficaci all’esigenza di controllo e gestione degli spazi di lavoro.
“Una parete tecnologica che si integri con i sistemi e i protocolli dell’edificio è indispensabile per aspetti come, ad esempio, la profilazione degli utenti e la sicurezza degli spazi, soprattutto in tempi pandemici, la prenotazione delle sale riunioni o la necessità di una reception virtuale. Ma l’IoT permette anche di analizzare malfunzionamenti del sistema, controllare da remoto gli strumenti multimediali, l’acustica o la privacy grazie alle pellicole LCD sino al migliorare l’esperienza delle persone negli spazi, personalizzando l’illuminazione o la temperatura della stanza secondo l’approccio human centric light”.
“È già possibile avere sistemi parete che consentono l’apertura o chiusura programmata, che contengono schermi o connettori per i badge con sistemi di segnalazione della presenza di persone all’interno degli spazi meeting. Il futuro è affidato alla sensoristica che rileva dati e monitora l’utilizzo degli spazi contenendo i consumi energetici e garantendo elevati standard di benessere indoor”, conferma Massimo Roj.
La tecnologia diventa quindi un’importante alleata anche in questo specifico ambito produttivo e, nel valorizzare l’elemento parete, diventa uno strumento di comunicazione, collaborazione ma anche di semplificazione, come approfondisce Massimo Gianquitto: “La parete divisoria non è solo una componente architettonica che separa e crea differenti ambienti di lavoro; sta mutando in un elemento d’arredo capace di assolvere differenti funzioni. È un supporto alla comunicazione statica e dinamica, integra video, diffonde suoni come una cassa acustica ed è in grado di mitigare i disturbi sonori. È un espositore, funge da supporto a elementi di verde verticale. Insomma, la parete divisoria è diventata realmente multifunzionale superando il concetto di semplice partizione per la quale era stata originariamente pensata e utilizzata. In questo momento ci troviamo nel pieno di una trasformazione che dovrà rivelare tutte le potenzialità di questa componente, legate anche agli sviluppi tecnologici del 5G. Dobbiamo però attendere la conclusione di questo decennio per averne una più significativa risposta. Entro il 2030 vivremo sicuramente in ambienti in cui le pareti saranno elementi parlanti, non solo attraverso le immagini, ma anche la voce di un avatar, che avrà la funzione di un vero e proprio assistente. Il futuro dell’ufficio sarà anche ricco di ologrammi come quelli oggetto di ricerca alla RMIT University di Melbourne e all’Institute of Technology di Pechino, che si integreranno in qualsiasi prodotto per superare il limite dimensionale degli schermi dei dispositivi smart, assistendo le persone in modo più emotivo e “umano”. Infine, la tecnologia semplificherà le nostre vite, come teorizzato da Nick Bostrom con il Transumanesimo, si assottiglierà la distanza emotiva tra l’uomo e i dispositivi smart con un rapporto sempre più empatico. Tutto questo avverrà in un luogo virtuale intimamente connesso con quello reale, dove i confini tra le due dimensioni diventeranno sempre più sfuggenti, creando una sorta di bolla paragonabile all’origine della vita embrionale: uno stato primordiale in cui non esisterà differenza tra dentro e fuori”.
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Le costanti necessarie: acustica e flessibilità
Se sul fronte compositivo è progressivamente cambiato l’uso delle pareti, nell’ambito tecnico e delle performance ci sono parametri che mantengono un ruolo imprescindibile, a partire dagli aspetti che assicurano flessibilità e modularità sino alle caratteristiche acustiche che le pareti devono garantire.
La flessibilità viene rafforzata dai sistemi che rendono le pareti facilmente smontabili e riposizionabili, rispondendo alla necessità – confermata dall’esperienza di Progetto CMR – di rendere gli spazi rapidamente riconfigurabili, nel nome di un modificato numero di accessi dei dipendenti in sede. In quest’ottica, prendono piede le pareti composte da moduli studiati per semplificare le operazioni di disassemblamento e ricomposizione.
Anche per Massimo Gianquitto tra le priorità tecniche “prevalgono le caratteristiche che rendono la parete di separazione mobile. Modularità, intercambiabilità, e riconfigurabilità sono alla base di un prodotto flessibile e adattabile nel tempo, aspetto da intendersi anche come criterio di sostenibilità. A questi aspetti si aggiunge l’esigenza di possibilità poter personalizzare la parete per tradurre i valori e l’identità aziendale in colori, finiture e materiali e rendere riconoscibile l’ambiente di lavoro. L’acustica resta una questione determinante, non solo in ufficio. Si tratta di una tematica emersa in relazione all’open space, in cui la compresenza di più lavoratori rende l’ambiente poco confortevole e produce disturbi dell’attenzione, con scarsa concentrazione sui compiti e le attività da svolgere”.
Dà all’acustica un ruolo di primo piano anche Egidio Panzera, riferendosi a esperienze concrete e installazioni nel tempo: “La prestazione acustica è sempre una caratteristica fondamentale, ma oggi, deve poter essere modulabile. La destinazione d’uso degli spazi ufficio cambia rapidamente, con Faram 1957 abbiamo lavorato per avere una parete che potesse facilmente passare da monovetro a doppio vetro o a triplo vetro, permettendo di far crescere la sua prestazione in termini di isolamento acustico. Fino a non molto tempo fa, alla parete veniva richiesta la capacità di isolare gli ambienti che divideva, oggi a questo fondamentale requisito si aggiunge la capacità di migliorare il comfort acustico. Materiali fonoassorbenti permettono di attenuare la componente riverberata del suono e di conseguenza di aumentare il livello di benessere dell’individuo. L’ideale è avere delle pareti che permettano l’integrazione di tali soluzioni anche dopo la fine del cantiere, perché non è stato valutato preventivamente o perché sono cambiate le esigenze. Piani fonoassorbenti che si muovono lungo una parete da posizionare in corrispondenza delle aree meeting o di aree con presenza di più persone per assicurare flessibilità di uso degli spazi e giusto livello di benessere laddove richiesto”.
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Vetro e alluminio protagonisti
I materiali ricorrenti nella realizzazione delle pareti per ufficio non hanno subito particolari rivoluzioni e il settore produttivo riconosce il primato di vetro e alluminio, riservando uno spazio anche al legno. Il vetro è la prima scelta soprattutto in un’ottica legata alla necessità di garantire il passaggio della luce e la trasparenza – come confermano da Vetro In. L’alluminio e il vetro rispondono inoltre a criteri legati alla sostenibilità e alla crescente attenzione verso il contenimento dell’impatto sull’ambiente.
Ne dà conferma Egidio Panzera: “Il vetro e alluminio sono i materiali più comunemente usati nel settore delle pareti. Il vetro per la trasparenza, per la permeanza alla luce, per la rigidità abbinata a un ottimo livello di isolamento acustico, soprattutto se accoppiato con i nuovi pvb acustici presenti sul mercato.
L’alluminio abbina alla resistenza meccanica una grande leggerezza e soprattutto la possibilità di essere tagliato e lavorato in cantiere, aspetto che permette una gestione semplificata dello stesso.
Oggi, però, una parete deve essere predisposta per accogliere tantissimi materiali che siano tecnici o decorativi, per soddisfare i requisiti funzionali di uno spazio e la rappresentazione dell’identità del brand che la adotta”.
Il percorso di ricerca per trovare alternative altrettanto valide rispetto al vetro e all’alluminio è ancora lungo. “I materiali attualmente utilizzati sono gli stessi da molto tempo: vetro e per lo più materiali lignei. Non c’è stato ancora un sostanziale cambiamento, poiché per lungo tempo la parete cieca è stata accantonata e sostituita con il più economico e non del tutto “ecologico” cartongesso. Una soluzione poco sostenibile in relazione al suo ciclo di vita e allo smaltimento. Per trovare delle alternative si sono fatte sperimentazioni, si pensi all’uso della lamiera, della ceramica antibatterica e ignifuga, oppure di altre possibilità che però sono state temporaneamente accantonate. Io credo che sia giunto il tempo di tornare a ricercare, studiare e applicare materiali già utilizzati in altri ambiti e che possano trovare una loro collocazione nel mondo ufficio”, conclude Massimo Gianquitto aprendo il discorso anche al tema della sostenibilità ambientale.
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Le certificazioni ambientali per le pareti
A proposito di sostenibilità il riferimento certo rimangono le certificazioni ambientali, i cui protocolli sono condivisi anche da altri settori produttivi legati al mondo dell’arredo e dell’ufficio. Approfondisce il tema Massimo Roj: “Come tutti gli altri sistemi dell’edificio, un prodotto o un sistema per essere congruente con i protocolli di certificazione ambientale può essere valutato secondo differenti approcci: Il contenuto di riciclato e la riciclabilità dei materiali che lo compongono; la provenienza locale entro un raggio circoscritto dal sito di progetto; il ridotto quantitativo di contaminanti nel trattamento dei materiali e delle finiture; le certificazioni che attestano il comportamento del prodotto/sistema durante l’intero ciclo di vita. In questo contesto la disassemblabilità del prodotto a fine vita, e la sua durabilità, sono i parametri di maggior peso. Assieme al manuale di montaggio e d’uso sarà sempre più consueto vedere il manuale per disassemblare i sistemi costruttivi garantendo il corretto conferimento dei singoli elementi per il loro riciclo o riuso”.