L’ufficio inclusivo: come valorizzare le differenze
L’approccio progettuale per la definizione di un ufficio inclusivo tiene in considerazione l’accessibilità di spazi e servizi, proponendo un layout flessibile e aperto in modo che ciascuna persona, con le proprie esigenze e fragilità, si senta accolta e ne risulti un clima stimolante e produttivo
I parametri DE&I, acronimo di Diversity, Equity & Inclusion, stanno scalando la classifica dei fattori chiave nella progettazione degli spazi di lavoro, perché l’inclusione porta a valorizzare le potenzialità di ciascun lavoratore e ha effetti diretti e positivi su sviluppo, innovazione e crescita finanziaria di un’azienda.
Ma cosa vuol dire creare spazi inclusivi? Come si può definire un ambiente che valorizza la diversità? Veronica Nardelotto, sales area manager Bene – Women in Office Design ambassador, risponde: “Si definisce inclusivo un ambiente che faccia sentire i suoi utilizzatori benvenuti, li inviti a interagire e ne supporti in modo soddisfacente l’espletamento delle attività lavorative e sociali, a prescindere da qualunque caratteristica fisica, neurologica, di preferenza o provenienza. Ritengo l’inclusività sia intenzionale e nasca dall’unione tra l’elemento culturale e quello progettuale. In primis, l’accessibilità richiede infatti, l’eliminazione delle barriere architettoniche e percettive ambientali e strutturali, ma anche tecnologiche e culturali.
Tale processo richiede di considerare le esigenze e fragilità di tutti, analizzandole e assimilandole durante la progettazione, in una logica proattiva che fornisce come output una risposta al bisogno manifestato.
Servono dialogo costante e ascolto attento, per individuare, oltre alle disabilità visibili, quelle poco o non visibili.
Uno spazio inclusivo è usabile e fruibile, permettendo la piena godibilità dell’intera esperienza che offre ai suoi utenti. Questo ne implica la controllabilità da parte dell’utilizzatore, che può, ad esempio adattare l’intensità degli stimoli sensoriali alle sue preferenze”.
E perché è così importante che un progetto venga sviluppato anche in un’ottica DE&I? Sia perché uno spazio di lavoro accogliente e confortevole rappresenta un importante strumento di attrazione per i talenti, sia perché ha, fra i risvolti positivi, un incremento del potenziale di collaborazione, creatività e, di conseguenza, produttività, come suggerisce Marco Magalini, designer per Sitia e direttore creativo MM Company: “Creare spazi condivisi e aree comuni stimolanti incoraggia il dialogo, il confronto di idee e la condivisione di esperienze tra persone provenienti da contesti diversi. Ciò favorisce la creazione di legami più solidi all’interno del team e promuove un ambiente di lavoro collaborativo”.
Dunque, l’ufficio inclusivo è caratterizzato dalla capacità di soddisfare le esigenze di ogni singola persona, indipendentemente dall’età, dalle condizioni fisiche o dalla sua attività lavorativa. Obiettivo raggiungibile con una progettazione intelligente degli ambienti dove la disposizione delle postazioni di lavoro e dei mobili consente una buona accessibilità per garantire la libertà di movimento anche a chi ha limitazioni fisiche; un ufficio che rende disponibili aree di lavoro flessibili che soddisfano le varie esigenze e i diversi stili di lavoro. Dove sono presenti mobili ergonomici che consentono di modificare la propria posizione e di mantenere una postura sana, mentre soluzioni acustiche e impiantistiche consentono di creare un’atmosfera di lavoro piacevole e produttiva.
Perché procedere in tal senso? Perché un ufficio inclusivo, non solo promuove la felicità e la salute dei dipendenti, ma contribuisce anche ad aumentare la creatività, la produttività e il lavoro di squadra.
Inclusivo: i significati del termine
L’ufficio inclusivo deve tenere in considerazione i concetti di uguaglianza e di equità, con l’obiettivo finale di dare a ciascuno il modo di emergere in funzione delle proprie caratteristiche, valorizzandole per offrire un ambiente non solo accogliente e confortevole, ma anche stimolante, dove il dipendente senta di potersi esporre e creare.
“Ogni individuo, con la propria unicità, contribuisce a formare un meraviglioso mosaico di culture, tradizioni e credenze – dichiara Ivan Petrovich, CEO di Martex –. Accogliere e apprezzare questa diversità porta a un arricchimento. Nella vita privata come nel lavoro promuovere l’inclusività contribuisce a ridurre le discriminazioni e a garantire che tutte le persone si sentano rispettate e valorizzate per ciò che sono. Una cultura aziendale inclusiva crea un senso di appartenenza e incoraggia ciascun individuo a esprimere il proprio potenziale. La diversità impatta su ciascuno di noi ed è un valore che porta a ridefinire il concetto di inclusività nell’ambiente di lavoro e la sua applicazione alla progettazione. Ciò significa far star bene tutte le persone ognuna con la sua unicità”.
Con il contributo di Davide Motta, psicologo del lavoro e psicoterapeuta, partner presso De Micheli Lanciani Motta psicologi del lavoro associati, facciamo un passo indietro, o laterale, per capire da dove partire per applicare correttamente il concetto di inclusione in azienda: “L’aspetto principale da tenere in considerazione in questo contesto è quello del privilegio. Avere consapevolezza che esistono delle categorie che sono socialmente privilegiate e, di conseguenza, altre che sono svantaggiate, non per meriti acquisiti o per scelte fatte, ma per un’appartenenza a un gruppo piuttosto che a un altro, è il punto di partenza per una riflessione di senso. Ciò, infatti, ci permette di porre un presupposto fondamentale: non si può essere realmente inclusivi se non si ascolta il punto di vista di chi si vuole includere. Troppo spesso, invece, i promotori di iniziative sono persone privilegiate che (inevitabilmente) vedono il mondo dal proprio punto di vista e, anche se spinte dalle migliori intenzioni, non rendono un reale servizio alla causa. Anzi, rischiano di creare un’ulteriore discriminazione. In un contesto aziendale, quindi, il vero motore per un luogo di lavoro più inclusivo è un dialogo e un confronto costante tra chi è in una posizione di privilegio e chi non lo è. Questo, idealmente, dovrebbe condurre a una serie di azioni concordate, valutate caso per caso e applicate ad hoc. E, in alcuni casi, migliorate per adattamenti successivi, nella consapevolezza che l’errore è sempre possibile ma, se riconosciuto, riparabile”.
Portare a terra questi concetti e affrontarne la complessità è compito di architetti e designer, che dovranno trovare il modo di declinare aspetti come flessibilità, ergonomia, tecnologia a servizio dell’utente e progettazione intelligente. Il primo passo è, ancora una volta, interpretare il concetto di inclusività. Ne parla l’architetta Cristiana Cutrona, fondatrice di Revalue: “Ritengo che oggi abbiamo tutti il dovere di ridefinire il concetto di inclusività e la sua applicazione alla progettazione degli spazi di lavoro e non solo, abbandonando il luogo comune che associa la diversità solo a disabilità fisiche e neuro-divergenze e riportando l’attenzione sul fatto che la diversità impatta tutti noi ed è un valore. Vuol dire considerare che ogni individuo è una monade e porsi l’obiettivo di fare stare bene ogni singola persona valorizzandone l’unicità. Riconoscere la diversità, permettendo a ogni individuo di esprimerla, è il primo segnale che un’azienda deve dare ai propri collaboratori, è il primo segnale di vera inclusione, un tassello fondamentale nel disegno di una nuova modalità di relazione tra Azienda e Persone. Le aziende sono chiamate ad attuare un cambio di paradigma fondamentale: abbandonare le logiche del passato nelle quali era il lavoro svolto che definiva l’identità della persona, per un nuovo approccio secondo il quale è l’identità del singolo che viene valorizzata all’interno dell’ufficio e che dà forma al lavoro. Il luogo di lavoro si trasforma da ‘attrattore di talenti’ in abilitatore dei (super)-poteri dei singoli individui, è autenticamente inclusivo e luogo della relazione. Il disegno di uno spazio di lavoro inclusivo si sposta dal mero piano fisico del progetto degli spazi al Design delle Relazioni che l’azienda attua, di cui la riqualificazione degli spazi è parte integrante, catalizzatore ed attivatore delle relazioni stesse”.
Assimilato e interpretato il concetto di concerto fra committenti e progettisti, prende il via il percorso per definire uno spazio come inclusivo, Katia Gentilucci, practice leader workplace design di Progetto CMR: “Gli aspetti principali che permettono di definire uno spazio di lavoro come inclusivo sono in primis l’assenza di vincoli spaziali che rendano cioè lo spazio inaccessibile o accessibile con grande difficoltà a determinate categorie di lavoratrici e lavoratori. Anche avere materiali o strumenti tecnologici non adatti a ogni tipo di utente, a ogni tipo di corpo rende automaticamente uno spazio ostico ed escludente per una determinata categoria di fruitori.
È importante quindi, per noi progettisti, dare forma a spazi che non siano minimamente vincolanti, ma che, al contrario invitino tutti a viverli con entusiasmo e libertà”.
Strategie e metodo
Se ‘flessibilità’ è la parola d’ordine nel progetto per l’ufficio inclusivo, la definizione del layout deve sottostare a un percorso progettuale articolato che parta da un dialogo con le diverse figure aziendali: HR, facility manager, IT manager, direzione aziendale, collaboratori interni ed esterni. I parametri da tenere in considerazione saranno tanto i requisiti funzionali legati alla definizione dello spazio, quanto quelli che afferiscono alla sfera emotiva.
“Il progetto degli spazi è una leva importante se parte di una narrativa più ampia e se gli individui si appropriano di questa narrativa – racconta Cristiana Cutrona –. L’approccio al progetto che Revalue esprime vede lo spazio sia dal punto di vista delle sue caratteristiche fisiche, e del modo in cui queste influenzano il benessere, sia come luogo dove gli individui si relazionano, quindi dell’impatto che lo spazio ha sulle relazioni tra individui e tra individui e azienda e come, conseguentemente, influenzi il benessere psicologico del singolo e delle comunità che i singoli individui costruiscono nei luoghi di lavoro, il Design delle Relazioni di cui accennavo prima”.
Di metodo progettuale parla anche Katia Gentilucci, consapevole dell’articolato percorso a tappe che è necessario seguire: “Per gestire questo grado di complessità, a livello metodologico è importante proporre da subito a chi lavorerà negli spazi che ci si appresta a progettare un questionario per capirne a fondo i bisogni, per sondarne le aspettative e poter realizzare un progetto sartoriale di alta qualità. Oggi più che mai, proporre ai clienti e agli utenti spazi flessibili è cruciale per rispondere alle esigenze di più persone che devono lavorare insieme e spesso hanno ruoli professionali diversi, età differenti e sempre più un background culturale diverso da quello occidentale su cui fino ad ora ci siamo concentrati. Spesso è necessario anche concepire spazi multifunzionali che permettano lo svolgersi di attività molto diverse tra loro.
Tutti i progetti che abbiamo realizzato negli ultimi tre anni, dalla fine della Pandemia, possono considerarsi inclusivi. Comprendono spazi flessibili e riconfigurabili che si adattano a tutte le modalità di lavoro, ospitano più funzioni e possono essere usati da dipendenti e consulenti. Di fatto più che dei Working Spaces sono dei Living Places.
Tra i progetti più recenti, uno spazio per uffici in cui i clienti ci hanno chiesto di predisporre una “stanza tiralatte” dedicata ovviamente alle mamme al rientro dalla maternità. Abbiamo realizzato questa stanza dedicata, ma l’abbiamo pensata per un uso non esclusivo, che potesse quindi ospitare altre attività qualora ce ne fosse la necessità. Abbiamo accontentato un cliente, rendendo la vita un po’ più semplice a una parte importante del suo staff, predisponendo uno spazio che può essere gestito in autonomia da chi lo utilizza. Sicuramente un modo per avvicinare anche dipendenti e classi dirigenti e aumentare il senso di riconoscimento in valori condivisi e di appartenenza all’azienda”.
Riconosciuto il metodo progettuale per la definizione degli spazi di lavoro, il capitolo successivo riguarda la scelta degli arredi, passaggio fondamentale per convergere verso un risultato efficace. Ne parla Veronica Nardelotto, introducendo anche il concetto di collaborazione fra discipline e co-design come strumento utile: “L’arredo svolge una funzione di supporto al singolo, al team, all’azienda, e necessariamente deve mantenere questo approccio multifocale alle esigenze individuali e collettive. Primo aspetto essenziale è quindi la flessibilità. La modularità delle collezioni, la scomponibilità degli arredi, oltre che in un’ottica di sostenibilità, e la loro facile riconfigurabilità anche nel tempo: la necessità di plasmare e adattare il prodotto finito e in uso, a esigenze di volta in volta diverse. Importante anche il co-design come nuovo approccio anche nel design di prodotto. Ci sono associazioni che si occupano dell’inserimento in azienda di professionisti con una fragilità o una disabilità specifica e hanno quindi il polso sulle concrete necessità, gli strumenti anche tecnologici di supporto esistenti, nonché di ciò che manca. Mi riferisco, ad esempio, a realtà come l’Associazione Nazionale Subvedenti, che ho avuto la fortuna di incontrare grazie a WOD – Women in Office design, e di conoscere poi da vicino.
La loro esperienza, avendo le competenze per un approccio efficace al Design for all e fornendo consulenze alle aziende che vogliono creare nuovi spazi o adattare gli esistenti in un’ottica DEI, fornisce un contributo fondamentale nel percorso di evoluzione anche del nostro settore. Tenere conto delle esperienze delle persone e ascoltare le istanze di chi sperimenta lo spazio e le barriere che talvolta sono per altri di non immediate percettibilità è ciò che farà la differenza nel trovare soluzioni sempre più utili a un workplace design-inclusive, memore della lezione di Gordon Hartman sugli ambienti disabilizzanti: ‘You Only Are Disabled in an Environment that Makes You That Way’”.
Elementi e strumenti di progetto
Riconosciuto il metodo e stabilita la direzione, il passo successivo per committenti, architetti e designer è definire quali sono gli elementi imprescindibili nel progetto per l’ufficio inclusivo e quali gli strumenti per rispettarli. Cristiana Cutrona fornisce le proprie indicazioni, frutto di numerose esperienze sul campo: “Se partiamo dalle caratteristiche fisiche dello spazio, e del modo in cui queste influenzano il benessere, gli elementi imprescindibili sono, in ordine di priorità, la densità, la prossemica e la semantica degli spazi, la luce. Poi vengono il comfort termico, la sostenibilità, materiali e colori, una attenta scelta di arredi che rispetti sia i parametri essenziali di ergonomia sia la coerenza d’uso rispetto alle nuove modalità lavorative. Se consideriamo lo spazio come luogo dove gli individui si relazionano, allora dobbiamo mettere al centro del progetto il ‘modello di spazio’ e qui ritornano nuovamente la prossemica e la semantica degli spazi. Un modello di spazio inclusivo deve avere un bilanciamento equilibrato di spazi privati, pubblici e spazi filtro; deve inoltre avere spazi facilmente identificabili rispetto agli archetipi e simboli in cui tutti ci riconosciamo: simbologia spaziale dei codici paterno, materno e fraterno unita alla simbologia grafica e interpretativa dell’identità aziendale. Un sistema notazionale di stimolo sensoriale, di comprensione verticale che lega le forme ad archetipi, in una logica additiva di sensi/significati”.
Il lavoro creativo deve tuttavia sottostare, anche in questo ambito, alla struttura normativa che regola la progettazione per gli spazi di lavoro, come sottolinea Katia Gentilucci: “non si può prescindere dai vincoli imposti dalla normativa vigente sia in materia di progettazione degli spazi che in materia di sicurezza e, soprattutto dopo la pandemia da Covid19, c’è giustamente molta più attenzione a tutte le misure che contribuiscono a tutelare e incrementare la salute di chi vive quotidianamente gli ambienti di lavoro. Dalla scelta di arredi ergonomici alla predisposizione e all’allestimento di spazi dedicati all’attività fisica per favorire il benessere di tutti, tutto contribuisce a stimolare la creatività degli architetti per cercare soluzioni originali e innovative da portare nei progetti”.
Nell’ambito dell’arredo per l’ufficio, gli strumenti da coinvolgere e utilizzare come alleati sono numerosi e spaziano da mobili modulari da montare e smontare in funzione delle specifiche esigenze, scaffali mobili da usare come spazio di archiviazione ma anche come divisori dello spazio, materiali fonoassorbenti per garantire la definizione di un’acustica confortevole, digital signage per offrire la condivisione agevole delle informazioni, fino all’installazione di huddle rooms per avere a disposizione spazi per riunioni di piccoli gruppi.
Emanuel Battocchio, general manager Sitia, specifica quali sono le politiche seguite dall’azienda nella progettazione degli elementi d’arredo: “In azienda siamo profondamente convinti che un ambiente di lavoro ben progettato, che tiene conto della diversità delle persone e delle loro esigenze, può avere un impatto estremamente positivo sulla soddisfazione, la produttività e il benessere di tutti i dipendenti. Prima di tutto, un design di arredo attento alla diversità può garantire spazi accessibili per le persone con disabilità fisiche o motorie, contribuendo a rimuovere barriere e facilitare la piena partecipazione di tutti. Le disposizioni ergonomiche e flessibili permettono di adattare gli spazi alle esigenze specifiche di ciascun individuo, migliorando il comfort e prevenendo problemi di salute correlati a posture scorrette. Inoltre, un ambiente di lavoro inclusivo nel design dell’arredo riflette la diversità culturale e il rispetto per le tradizioni delle diverse comunità. Un design di arredo che valorizza la diversità può anche promuovere l’inclusione sociale e l’interazione tra i colleghi”.
Veronica Nardelotto, per completezza, elenca quali elementi provenienti dal mondo dell’arredo possono contribuire a rendere uno spazio inclusivo cercando di dare dei confini a un universo molto ampio: “L’arredo, in quanto oggetto che viene toccato, visto, utilizzato, che ha una sua natura, materialità, e forma, ha intrinsecamente un’influenza sull’ambiente in cui viene inserito. Gli studi sull’ergonomia, lo sviluppo di nuovi materiali con caratteristiche tattili e acustiche particolari, lo studio dell’acustica stessa e di prodotti innovativi per il controllo del rumore, l’integrazione della tecnologia nei prodotti, sono tutti elementi che vanno a contribuire alla costruzione dell’esperienza, o ancor meglio, esperienze, dello spazio stesso. L’argomento è molto vasto e comporta spesso la contaminazione con scienze applicate diverse, il che personalmente mi appassiona molto.
Si pensi ad esempio al solo tema del colore, dagli studi delle neuroscienze alle implicazioni in termini di creazione di barriere percettive. Dall’uso del colore come strumento per creare una segnaletica a guida della persona nello spazio, o per suddividerlo e identificarne la destinazione d’uso, al ‘semplice’ colore che crea il mood o lo stile dell’ambiente. Infine, l’arredo con la sua varietà di offerta permette di proporre opzioni diverse, diversificate, adattabili e pensate per convivere in armonia, oltre che gradevoli alla vista, provando che la diversità, anche negli arredi è ricchezza”.