L’ufficio sensoriale
Il progetto di interior design amplia gli obiettivi e abbraccia nuove discipline che concorrono alla realizzazione di spazi accoglienti e capaci di attivare i sensi. Colore, luce, suoni, profumi e superfici tattili acquisiscono un ruolo di primo piano nel valorizzare e stimolare le persone in azienda, migliorando benessere emotivo e motivazione. Un approccio sensoriale che sta ridefinendo il modo in cui lavoriamo e ci connettiamo con l’ambiente lavorativo
Nell’ottica di proporre il miglior contesto di lavoro, dove ciascuno si senta accolto e valorizzato nelle proprie capacità, il progetto di interior design degli spazi ufficio amplia le proprie prospettive con un nuovo obiettivo: sviluppare l’ufficio sensoriale, ovvero un luogo coinvolgente e stimolante, nel nome del benessere mentale ed emotivo del dipendente e della sua conseguente produttività.
Attraverso un fitto dialogo con professionisti dedicati al tema, ciascuno con una specifica formazione ed esperienza sul campo, abbiamo definito le variabili fondamentali del progetto ‘sensoriale’: colore, luce, suoni, profumi e superfici tattili sono gli elementi compositivi imprescindibili. A partire da questi elementi prendono il via altrettante discipline progettuali che si basano su ricerche accademiche e scientifiche, prevedono collaborazioni fra diverse figure professionali e sviluppano sperimentazioni sul campo per definire gli spazi di nuova generazione, dove le persone si sentano coinvolte e stimolate.
Vista: il colore e la luce
La percezione degli stimoli visivi è una fra le prime coordinate capaci di influenzare il modo in cui si vive uno spazio e, proprio per questo, colore e luce sono elementi progettuali fondamentali nel percorso di interior design. Manuela Bonaiti, co-fondatrice del laboratorio per la creatività Baolab, sottolinea l’importanza del ruolo del colore:
“Il colore è un mezzo potente nella definizione degli spazi: opera su molte parti del nostro apparato sensoriale, dalla percezione dimensionale a quella termica solo per citare le più importanti. In generale è in grado di definire non solo l’identità di un luogo, ma anche la sua fruizione. Al di là delle tinte usate, è importante capire come utilizzarle: se è pur vero che il verde è un colore rilassante e il rosso è invece eccitante, quello che importa è che tipo di rosso o di verde viene scelto, dove viene inserito, in che quantità e con che tipo di effetto superficiale. Ci sono regole generali di distribuzione cromatica che influenzano le dimensioni di una stanza, e regole generali riguardanti le saturazioni e le brillantezze delle tinte che lavorano invece sul nostro sistema percettivo, tenendo sempre conto però che le variazioni percettive individuali sono frequenti, e sono dovute alla presenza di circa 6 milioni di coni fotorecettori, nel fondo del bulbo oculare, che processano i colori in modo diverso a seconda del nostro DNA”.
È necessario allargare il campo per approfondire il calibro del ruolo di colore in relazione alla luce in uno spazio di lavoro: fattori che influenzano non solo il benessere del dipendente ma, come diretta conseguenza, anche la sua produttività, dal momento che abitare uno spazio di lavoro monotono o mal progettato contribuirà alla sua perdita di motivazione. Ne parla Massimo Caiazzo, presidente di IACC Italia – International Association of colour consultants, e consulente di MEM – Mind Emotion Movement: “La progettazione cromatica è fondamentale poiché la nostra reazione al colore è totale, fisiologicamente e psicologicamente, interagiamo costantemente con l’ambiente, con i suoi colori, con l’illuminazione e con l’arredo. Quando il clima cromatico di un ufficio, di un’industria o di un qualsiasi contesto lavorativo risulta carente, le conseguenze per le persone che vi lavorano sono sempre negative: in un ambiente ipostimolante, la monotonia genera stress, mentre all’opposto in un ambiente iperstimolante, l’eccesso di stimoli provoca la dispersione delle forze vitali. Nella maggior parte dei luoghi di lavoro, oltre allo squilibrio cromatico, si riscontra una progettazione illuminotecnica errata che si traduce nell’utilizzo di sorgenti che hanno un indice di restituzione cromatica insufficiente. Infatti, le scelte illuminotecniche, nella maggior parte dei casi si limitano a soddisfare soltanto le normative che fanno riferimento unicamente alla quantità di lux e di lumen e non alla qualità dell’emissione luminosa.
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Il colore contribuisce alla risoluzione di alcune problematiche ambientali ed esercita non solo un’azione consonante supportando ed evidenziando le funzioni degli spazi, ma anche di compensazione, quindi ad esempio nel caso in cui la temperatura percepita in un ambiente risultasse eccessivamente calda si potrebbe efficacemente compensarla con colori freddi. Ad esempio, nel progetto del colore e dell’illuminazione sviluppato in collaborazione con IACC per una grande industria che produce vetro, poiché il lavoro si svolgeva a ciclo continuo con turni di notte massacranti, in un contesto rumoroso in cui si percepiva un’alta temperatura, il colore e l’illuminazione hanno svolto un ruolo cruciale per attenuare queste problematiche. All’opposto, mi è capitato di progettare gli uffici di una banca d’affari dove gli operatori lavoravano un contesto monocromo, completamente bianco con un’illuminazione decisamente abbagliante. L’ambiente risultava ‘freddo’ e di conseguenza gli investitori si trovavano ad interagire con i referenti che apparivano pallidi e con un colorito verdognolo a causa del contesto. Dopo il nostro intervento la banca, grazie a un clima cromatico e un’atmosfera luminosa adatta a supportare le attività, ha incrementato i propri affari. Non solo, gli stessi operatori si sono sentiti valorizzati, perché migliorare i luoghi di lavoro significa valorizzare le persone. Certo, in questo come in altri casi la committenza deve non solo avere a cuore i propri lavoratori, ma anche saper scegliere i professionisti più accreditati per sviluppare un progetto coerente”.
Riconosciuta dunque l’importanza del colore e della luce, diventa fondamentale sensibilizzare gli attori del processo, dai progettisti ai general contractor, affinché ne tengano conto in modo adeguato. Ai nostri interlocutori abbiamo dunque chiesto: In che tappa del percorso si dovrebbe inserire il progetto su colore e luce e come si dovrebbe sviluppare?
Prende la parola Manuela Bonaiti: “Idealmente dovrebbe svilupparsi contestualmente al progetto preliminare e seguirne le varie fasi, ma spesse volte si opera ex-post, per riqualificare ambienti o singole parti di edifici. Potendo lavorare su edifici nuovi, la prima fase è molto importante perché permette di capire l’orientamento di un edificio, e di definire con il progettista l’esposizione e l’ampiezza delle aperture per l’ingresso della luce solare; segue poi la fase di definizione dei materiali di un interno e della loro destinazione d’uso: pavimenti, pareti e arredi fissi, in primo luogo, e utilizzo dello spazio: sale riunioni, bagni, cucine o produzione etc… fino ad arrivare in un ultima fase ai gusti specifici del committente, per poi armonizzare il tutto.
I professionisti con cui si parla di solito sono i general contractor, gli architetti, i fornitori di materiali e gli illuminotecnici, questi ultimi essenziali nella gestione cromatica degli ambienti, e ovviamente gli utenti finali, che non sono professioni del settore ma che “subiranno” le nostre scelte per lunghe ore al giorno”.
Interviene sull’argomento, proponendo un esempio concreto per portare a terra la questione, anche Massimo Caiazzo: “L’ideale sarebbe che il progetto cromatico fosse concepito contemporaneamente a quello architettonico ma il più delle volte, purtroppo, questo non avviene. Ci si rivolge agli esperti soltanto quando l’ambiente risulta sfavorevole, così le committenze, per arginare gli errori commessi a monte sono costrette a rivolgersi a professionisti. Cito l’esempio di una mensa di una grande azienda dove il progettista scelse per le pareti e i pavimenti un verde scuro e un azzurro intenso, pensando che fossero colori rilassanti. Peccato che i toni non erano adatti a luoghi conviviali, soprattutto nel periodo invernale, così a parità di calore emesso dai radiatori, i dipendenti percepivano una temperatura ambientale più bassa chiedendo così di aumentare il riscaldamento con un grandissimo dispendio di energia e di risorse economiche.
Salvo rare eccezioni, nel nostro Paese la committenza non è ancora pronta per avvalersi della figura professionale del progettista del colore. La grande rivoluzione sarebbe commissionare la progettazione cromatica e dell’atmosfera luminosa degli spazi di lavoro a figure professionali qualificate che sappiano valutare attentamente gli effetti del colore sull’essere umano per rendere l’ambiente costruito più vivibile, sia funzionalmente che esteticamente e supportare così ciascuna delle azioni che verranno svolte al suo interno”.
Quando si parla di colore spesso lo si lega al tema della brand identity dell’azienda e alla trasposizione dei colori corporate nel progetto per i relativi spazi di lavoro. Si tratta di un passaggio non scontato che in alcuni casi si scontra con i criteri da seguire per l’intervento di interior design per uno spazio di lavoro. Interpellata sull’argomento, Manuela Bonaiti racconta: “Non è sempre facile mutuare i colori specifici di un brand direttamente in uno spazio, soprattutto perché la dinamica e la funzione di un logo sono estremamente diversi da quelle di uno spazio. La dimensione di un colore, la sua estensione e distribuzione sono elementi che influiscono con forza sul nostro essere. Pensate a uno dei loghi più famosi al mondo, quello del McDonald’s; se noi riproducessimo le due tinte principali, il rosso e il giallo, così come sono in un fast food, probabilmente non entreremmo a mangiare. Sono colori ‘chimici’ estremante forti, non vicini al concetto di cibo salutare, tanto anelato nei nostri tempi. Funzionavano bene negli Anni 50, perché le istanze sociali erano più vicine al compiacimento edonistico post-bellico e si ricercavano luoghi ludici e nuovi, esattamente l’opposto di quello che accade nella nostra super sostenibile epoca. E infatti il management del brand ha deciso un paio di anni fa di introdurre anche la tinta verde, ben più vicina ai nostri desideri e più facilmente spendibile nel merchandising, sia dei prodotti che degli spazi. In generale la selezione dei colori per gli ambienti, così come quelli per gli spazi di lavoro, deve riflettere una logica di brand che vada oltre l’aspetto visivo del logo: dobbiamo considerare più il benessere delle persone che non la narrazione brand in sé”.
Massimo Caiazzo porta la sua esperienza sul campo per chiarire in che modo la relazione fra i colori distintivi di un brand e quelli dello spazio di lavoro non sia la strada da seguire a priori: “I “colori di bandiera” vanno usati quando si desidera porre l’accento sul marchio, ma è fondamentale formulare progetti cromatici equilibrati, perché gli eccessi cromatici risultano controproducenti per il brand stesso, creando disagi sia alla clientela che ai propri collaboratori. Immaginiamoci se il gruppo automobilistico Ferrari allestisse un’entrata tutta rossa oppure Poste Italiane una sala tutta gialla e così via… La monocromia e l’imposizione dei colori di bandiera, dimostrerebbero che quel brand non è sufficientemente consolidato, perché altrimenti non vi sarebbe alcuna necessità di ‘brandizzare’ lo spazio”.
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Tatto: i materiali e le loro texture
A proposito di tatto, il suo ingresso nel contesto del progetto per spazi di lavoro è legato soprattutto ai materiali scelti per finiture e arredi. Dalle ultime edizioni delle fiere di settore – da Cersaie a Coverings – è emerso un trend chiaro che vede un incremento nella proposta di soluzioni con texture tattili: aziende e designer di materiali per finiture, infatti, hanno accolto la domanda degli utenti finali di avere a disposizioni superfici capaci di comunicare e di stimolare i sensi, per progetti che vogliono offrire benessere anche attraverso l’attivazione del tatto. Ecco, quindi, che le proposte riguardano lastre di grandi dimensioni, piastrelle, carte da parati, pannelli solid surface con superfici rigate, granulose, setose, con decori in rilievo. “Al giorno d’oggi siamo così sopraffatti dalle immagini e dagli stimoli che l’architettura e il design hanno un ruolo vitale su come far sentire le persone quando si trovano a casa propria o in altri ambienti. Usare colori legati alla terra e con superfici tattili è una cosa di cui abbiamo disperatamente bisogno”, conferma Katrine Goldstein, managing director e partner di Norm Architects, in occasione di una delle ultime edizioni di Cersaie.
A questa tendenza ne è legata a doppio filo un’altra: scegliere materiali di origine naturale che, per la loro identità, comunicano con i sensi in modo forte e diretto. Ne parla Beatrice Spirandelli, architetta e consulente di MeM – Mind, Emotin, Movement: “Vivere e lavorare in locali creati con materiali ‘freddi’ e artificiali, con il tempo, può limitare il nostro bisogno innato di connessione profonda con la natura, riducendo anche quelle che vengono definite come ‘emozioni ambientali’. Impiegare materiali naturali per il rivestimento degli ambienti è uno dei modi per rispondere ai nostri bisogni ambientali primordiali, generando reazioni spontanee, fisiche ed emotive che agevolano la connessione con noi stessi, garantendo quindi un maggior benessere.
Ad esempio, soggiornare in una stanza rivestita con legno di cirmolo favorisce il rilassamento e fa diminuire i battiti cardiaci, ragion per cui alcuni hotel rivestono con questo materiali camere e centri benessere. Va però specificato che il cervello limbico, responsabile delle emozioni, esamina l’ambiente in cui ci si trova attraverso i cinque sensi ecco perché non basta ‘imitare’ la natura, ma diventa fondamentale scegliere materiali realmente naturali”.
In termini pratici, quali sono le alternative adatte ai progetti per gli spazi di lavoro? Sono numerose e nel vicino futuro è probabile che ne aumentino, dal momento che l’innovazione è attiva anche in questo ambito. Ne fa un breve elenco Beatrice Spirandelli: “Per le pareti una valida alternativa alle tanto usate pareti in cartongesso, materiale non propriamente ecologico, sono i sistemi a secco intelaiati rivestiti con spessori adeguati di terra cruda o argilla, capaci anche di ottimizzare spontaneamente le condizioni termo-igrometriche degli ambienti.
Oppure intonaci a base di calce tradizionale o di argilla e prodotti innovativi creati abbinando la calce con scarti di produzione agricola come, ad esempio, la lolla di riso, oppure pitture naturali realizzate con i derivati del latte o dell’olio di limone. Alcuni di questi materiali, sia tradizionali come il linoleum o il marmorino sia quelli di ultima generazione, possono essere applicati anche come rivestimenti per tavoli e piani di lavoro. Inoltre, oggi troviamo piani di lavoro realizzati con carta e cartone riciclato o con gli scarti del caffè, medium density realizzati con paglia e resina naturale o con la buccia del riso, oltre che bioresine, utilizzati non solo suoi rivestimenti ma anche sugli arredi”.
I materiali citati sono quindi in grado di abbinare alle texture tattili anche percorsi virtuosi legati alla loro sostenibilità, il cui rispetto è in crescita. “La ricetta del futuro è utilizzare materiali naturali tradizionali, come l’argilla e la calce, addizionandoli a scarti agricoli e dare loro forma e consistenza grazie alle nuove tecnologie, come macchine a controllo numerico o stampanti 3D, così da realizzare ambienti non solo sani, ma anche particolarmente interessanti dal punto di vista estetico”, chiude l’architetta.
Olfatto: i profumi per gli spazi di lavoro
L’intervento di interior design per un luogo di lavoro mirato all’esperienza sensoriale deve fare spazio anche a un altro elemento di progetto: il design olfattivo.
Entra nel merito Anna Barbara, presidente di POLI.design, professore associato dipartimento di Design e direttrice del corso di alta formazione in Olfactive Design: “Il design olfattivo è una disciplina relativamente recente che si occupa dell’aria che respiriamo e delle sue qualità. Dopo la pandemia è sembrato chiaro a tutti quello che non è una novità, visto che già gli antichi Egizi pensavano agli odori dei luoghi e degli oggetti. Negli ultimi vent’anni le scoperte si sono susseguite e oggi possiamo dire che recettori dell’olfatto si trovano, non solo nelle fosse nasali, ma anche nei polmoni, nel cuore, nel sangue, sulla pelle e nello sperma.
L’odore nei luoghi di lavoro ha a che fare con moltissime questioni. con l’attenzione e il comfort in prima istanza, con la cultura, l’alimentazione e con la prossimità ai propri colleghi, che non sono necessariamente persone intime, ma con le quali si condividono spazi di promiscuità”.
L’approccio agli odori è dunque cambiato in modo repentino soprattutto dopo il 2020 e a piccoli passi il progetto olfattivo è diventato un capitolo del più ampio progetto per gli interni. Lorenzo Cotti, fondatore e CEO di Integra Fragrances, specifica le tappe di questa recente trasformazione e le ricadute positive che ha sulla produttività dei dipendenti negli spazi di lavoro: “Negli ultimi anni sempre maggiore attenzione è posta a tutti gli aspetti sensoriali e, in particolar modo, all’olfatto, senso primordiale, legato alle emozioni e alla memoria, denominato ‘infallibile’. Le aziende che si rivolgono a noi lo fanno per necessità differenti, ma il comune denominatore riguarda la volontà di rendere gli ambienti più confortevoli e donare ‘benessere’ alle persone che li vivono. Agendo sull’umore il profumo influisce sul benessere delle persone che lavorano in uno spazio aumentandone la produttività. Progettare l’esperienza olfattiva di uno spazio ha l’obiettivo di stimolare emozioni, lasciare un’impronta profonda e duratura e contribuire a creare ambienti più coinvolgenti e memorabili. L’uso del profumo nel design migliora la percezione sensoriale di un progetto e produce un messaggio comunicativo coerente con esso. Una fragranza formulata con cura e coerente con uno specifico ambiente può far riecheggiare l’architettura e il design di un luogo. Esistono tecnologie ‘mood bosting’, che permettono di formulare fragranze con un’azione mirata sull’umore – rilassante, energizzante, ecc. – neuro-scientificamente provata.
Una volta creata la fragranza personalizzata, la si diffonde con una tecnologia in grado di profumare omogeneamente grandi e piccole superfici. Quando possibile la fragranza viene diffusa tramite l’impianto di canalizzazione esistente; in alternativa esistono soluzioni per profumare gli ambienti in maniera diretta”.
Anche per questo ambito, come successo nei paragrafi precedenti, è importante capire durante quale tappa del processo progettuale entrano in gioco i professionisti del design olfattivo e chi sono i loro principali interlocutori. Precisa Anna Barbara: “Molti credono che parlare di odori nello spazio significhi parlare semplicemente di odori, e che quindi la questione si liquidi, alla fine dei processi progettuali e costruttivi, come fatto decorativo. Invece l’odore veicola valori ancestrali che impattano sulla identità di un luogo, sui materiali, sulla posizione delle finestre per regolare la ventilazione naturale e su quella degli impianti per quella artificiale, e continua con il coinvolgimento degli utenti nella fase di experience e prosegue anche oltre. Quindi coinvolge architetti, interior designer, marketing manager, HR, facility manager, user experience designer…”.
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Dalla teoria alla pratica, Lorenzo Cotti elenca chi sono gli interlocutori abitualmente intercettati ed entra nel dettaglio delle fasi di intervento: “Le figure con le quali ci interfacciamo sono molteplici, dalla direzione dell’azienda, agli architetti, facility manager e tecnici. Per progettare un buon impianto di diffusione olfattiva è fondamentale capire come l’aria viene distribuita e ricambiata in uno spazio. Un attento studio della volumetria e dell’impianto di trattamento aria ci consente di disegnare il progetto olfattivo ottimale per assicurare il risultato desiderato. Parallelamente allo studio del progetto termoidraulico, vengono effettuati accurati sopralluoghi in loco per conoscere a fondo l’ambiente e le sue caratteristiche tecniche al fine di verificare il posizionamento più opportuno della tecnologia e i flussi d’aria. Oltre a garantire la sicurezza della tecnologia e delle fragranze diffuse adempiendo alla normativa vigente, è necessario verificare che non vi siano rischi nell’esposizione prolungata al profumo e che sussista compatibilità con i prodotti esposti”.
Un capitolo molto interessante legato al design olfattivo riguarda la definizione delle tipologie di profumi, del gusto personale e del loro collegamento con specifiche reazioni sensoriali; una ricerca utile anche nell’ambito del progetto per gli spazi di lavoro perché in funzione dello specifico profumo diffuso, si creerà una particolare reazione in chi vive gli ambienti. “Ci sono odori più o meno apprezzati in base alla cultura o alla geografia. Gli odori sono anche sottosoglia e soprasoglia, ossia non percepiti in maniera cognitiva, ma emotiva e profonda. Così come ci sono questioni legate ad altri organi olfattivi che non sono il naso, ma ad esempio il nervo trigemino che percepisce il pungente e l’organo vomeronasale coinvolto nella percezione dei ferormoni. Si tratta sempre di trovare un equilibrio tra emozione e ragione”, afferma Anna Barbara.
Nel contesto del design olfattivo per uno spazio di lavoro è tuttavia importante riuscire a trovare odori trasversali e inclusivi, in modo da creare un contesto accogliente e favorevole al benessere dei dipendenti. “Nell’ambito olfattivo, questa caratteristica si traduce in note olfattive distinte che svolgono ruoli diversi all’interno dell’esperienza lavorativa ma convergono in un tratto caratteristico: essere rassicuranti e non divisive”, chiarisce Lorenzo Cotti proponendo alcuni esempi: “Le note agrumate, come il limone e la verbena, sono ampiamente riconosciute per conferire una sensazione di risveglio e vitalità. Questi odori apportano una nota frizzante e rinfrescante all’ambiente di lavoro, contribuendo a stimolare i sensi dei dipendenti e a favorire la produttività. Allo stesso modo le note aromatiche, come menta ed eucalipto, con il loro profumo fresco ed erbaceo, potenziano la concentrazione creando un’atmosfera rinvigorente che può essere particolarmente benefica durante le lunghe giornate lavorative.
Nonostante l’importanza delle note energizzanti, non vanno sottovalutate le fragranze più discrete e sottili. Gli odori muschiati, leggeri e impalpabili, sono spesso universalmente apprezzati poiché rispettano le diverse preferenze olfattive e le sensibilità individuali. Queste fragranze donano una sensazione di comfort e tranquillità, contribuendo a creare un ambiente accogliente e inclusivo che mette a proprio agio tutti i membri del team.
In un’epoca post-pandemia anche l’odore di pulito, che tipicamente presenta sfaccettature di fiori freschi come il mughetto o nuance più aromatiche di lavanda, è diventato estremamente rilevante poiché sottolinea la percezione di un ambiente ordinato e curato, essenziale per una sensazione di sicurezza e igiene.
La scelta mirata delle fragranze da diffondere nello spazio di lavoro è un aspetto fondamentale nella creazione di un ambiente armonioso e stimolante. Rispettare le preferenze individuali e considerare le esigenze dei colleghi è cruciale per garantire che tutti si sentano a proprio agio e motivati”.
Per chiudere, un altro elemento da considerare nel percorso di progetto legato a questo ambito è la durata, variabile in funzione di diversi parametri.
“I progetti olfattivi possono essere effimeri e di breve durata, magari perché riferiti a un evento, o essere perenni perché riguardano i materiali e la loro natura olfattiva, come nel caso dei legni o di alcune resine – puntualizza Anna Barbara –. Vi sono anche progetti che lavorano su paesaggi olfattivi controllati nel tempo, che richiedono competenze complesse per essere gestiti come vere e proprie partiture. È importante partire dalla consapevolezza che un progetto olfattivo raramente parte da uno zero olfattivo, a meno che non lo si voglia creare estraendo aria laddove si aggiungono odori. Quindi prima di fare qualsiasi progetto è necessario posizionare lo zero olfattivo e lavorare sia in sottrazione sia in addizione”.
Aggiunge Lorenzo Cotti “La creazione di un’identità olfattiva nasce da una profonda analisi dell’azienda o del brand, necessita un’importante conoscenza tecnica della profumeria, degli ingredienti e delle sue tendenze, ed è intrisa di un alto livello di creatività. I progetti necessitano in media di sei mesi di studio per essere messi a punto e sono destinati a durare del tempo. La durata può variare tra i 5 e i 10 anni (e oltre), ma non c’è un tempo standard per tutti i progetti, dipende dalle esigenze strategiche e comunicative del brand”.
Udito: il sound design
Il percorso a tappe di un progetto capace di valorizzare l’ambito sensoriale in uno spazio di lavoro non può escludere il sound design, disciplina giovane – soprattutto quando legata a questa tipologia funzionale di progetti di interior design –, entrata di recente nel percorso di studi per i progettisti. Lo IED, Istituto Europeo del Design, ad esempio, promuove un corso di Sound Design dove si sviluppano esperienze di lavoro in conversazione con diversi professionisti in ambito audiovisivo, videoludico, multimediale e in generale creativi con cui confrontarsi per sviluppare progetti audio integrati ai diversi linguaggi e contesti.
“I campi di applicazione e le modalità di lavoro di chi realizza suoni applicati sono molti e diversi – precisa Painé Cuadrelli, coordinamento Sound Design IED Milano –. Un ottimo punto di partenza è una preparazione che unisca conoscenze tecniche a un solido bagaglio di elementi culturali, storici ed estetici”.
Ma cosa si intende, nello specifico, per sound design in uno spazio di lavoro? Lo spiega Giulia Silvestri, sound designer e digital content creator: “È un processo complesso che mira a ottimizzare l’ambiente sonoro all’interno di un’azienda. Necessita innanzitutto di un’analisi approfondita dell’ambiente e delle esigenze dell’azienda stessa, e in seguito del lavoro di specialisti in acustica che valutino la struttura architettonica, che identifichino eventuali fonti di rumore e che propongano soluzioni per migliorarne l’acustica, come ad esempio l’inclusione di layout specifici e/o l’installazione di materiali per ridurre l’eco, o ancora, l’implementazione di sistemi di diffusione sonora o cancellazione del rumore”.
In questo percorso è quindi necessario coinvolgere diversi professionisti oltre al sound designer; le figure di riferimento sono interior designer, architetti, ingegneri acustici e tecnici del suono, oltre a direttori creativi nel caso di progettazioni legati alla comunicazione e media designer e interaction designer nel caso di progetti interattivi.
Parla degli obiettivi di progetto Painé Cuadrelli: “Il sound design mira a conferire al luogo un carattere specifico attraverso il senso dell’udito, generalmente con il fine di migliorare l’esperienza di chi vive e attraversa lo spazio. Sono comuni interventi di sound design in luoghi come spazi urbani, aeroporti, lobby, stazioni ferroviarie, spazi espositivi e fieristici, punti vendita, hotel”.
Il sound design è sicuramente meno diffuso negli spazi uffici, dove nel passato l’attenzione si è focalizzata principalmente sul tema del comfort acustico. Qualcosa però sta cambiando il suono assume un ruolo attivo, proprio nell’ottica di realizzare spazi sensoriali capaci, non solo di far stare bene le persone, ma anche di fornire degli stimoli e nuove sensazioni che migliorano ulteriormente l’esperienza nel luogo di lavoro. Giulia Silvestri, con un background creativo rivolto principalmente alla creazione di contenuti musicali per video pubblicitari, individua le tappe da seguire per raggiungere l’obiettivo citato: “È essenziale porre particolare attenzione al tipo di azienda coinvolta. In alcuni contesti, potrebbe essere necessario riflettere attentamente, oltre che sulle questioni puramente tecniche, anche sulla scelta dei contenuti sonori da diffondere. Ad esempio, potrebbe essere necessario valutare se sia opportuno trasmettere musica tranquilla con bassi BPM per creare un’atmosfera rilassante e confortevole. O al contrario, potrebbe essere più efficace arricchire l’esperienza lavorativa con brani più energici e noti, al fine di offrire benefici di diverso genere a coloro che ne fanno ascolto.
Quindi, la decisione sulla selezione musicale dovrebbe essere guidata dalla volontà di mettere a proprio agio chi ascolta o dall’intento di arricchire l’ambiente lavorativo con una colonna sonora vivace, in base alle specifiche esigenze e al tipo di atmosfera desiderata. Progettare il suono in uno spazio di lavoro può corrispondere al ‘creare una playlist adatta’ per l’ambiente lavorativo di un’azienda; una sonorizzazione che permetta di incentivare il benessere dei dipendenti, facilitandone la comunicazione e diminuendone di conseguenza il rischio di stress, contribuendo parallelamente e positivamente anche alla percezione generale dell’azienda”.