Luciano Galimberti
Presidente di ADI – Associazione per il Disegno Industriale
Sul ruolo del design si è detto e scritto molto. In primis per affermare le solide basi tecnico-scientifiche di questa disciplina che non può essere ridotta ad aspetti glamour o di marketing. Ma anche per sottolinearne il ruolo sociale che ne ha esteso gli ambiti applicativi dal campo dei beni materiali a quello immateriale dei servizi. Per non parlare dei nuovi significati che il design assume nella ricerca del giusto equilibrio tra uomo/ambiente, con il quale il mondo del progetto si confronta quotidianamente. Torniamo a parlare delle diverse sfaccettature che assume il design della società contemporanea nell’intervista a Luciano Galimberti, presidente di ADI, associazione per il design industriale che in più di sessant’anni di storia, attraverso premio Compasso d’Oro, ne ha raccontato i valori tecnici, formali e soprattutto sociologici per istituzioni, imprese, progettisti e, soprattutto, per i fruitori.
“La parola design è finalmente, sempre più spesso, nelle agende delle istituzioni o di quanti hanno responsabilità per lo sviluppo del nostro mondo” ha sottolineato Galimberti nel corso dell’edizione 2018 del premio compasso d’Oro. “Il design quindi sembra finalmente compreso come asset necessario per lo sviluppo, ma questo nuovo scenario inevitabilmente ci pone questioni sull’uso e sui limiti del fare design, sul suo essere necessario a cosa e a chi. Il design è, e credo debba esserlo sempre più, un modello culturale, con valori e obiettivi condivisi e soprattutto dichiarati, fattore ineludibile per poter poi definire il modello di organizzazione civile, politica o imprenditoriale… Questa sola sequenza potrà generare un modello di sviluppo responsabile e sostenibile”.
Quali sono i presupposti per far sì che questo avvenga? Come è cambiato il ruolo del design nel tempo?
Il design come lo conosciamo dalla rivoluzione industriale a oggi, ha permeato le nostre vite in ogni ambito: dalla nostra nascita alla nostra morte. Un’attività progettuale così vasta che oggi è impensabile immaginare un prodotto industriale che non sia frutto di un processo di design. Ma il design come attitudine alla progettazione ha origini ben più antiche, attengono alla matrice antropologica che spinge l’uomo a progettare il proprio ambiente e i propri utensili. Per questi dico che il design è disciplina indispensabile e come tale una responsabilità sulla qualità della vita dell’uomo.
Il design italiano si è sempre distinto per le proprie capacità di non fermarsi al progetto delle forme bensì a quello delle relazioni tra le forme e il fruitore. In quest’ottica il continuo allargamento degli ambiti nei quali il design viene utilizzato – ad esempio al sociale, ai servizi o alle interfacce – è significativo del ruolo strategico che riveste per lo sviluppo. Uno sviluppo non solo economico, ma capace di misurare il proprio successo attraverso il grado di miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo, inteso non solo sui propri bisogni, ma anche sui propri segni, desideri e valori.
Se analizzo il design italiano da questo punto di vista allargato, non trovo cambiamenti di ruolo. Il design italiano è solida disciplina tecnico/scientifica con capacità innovative e caratteristiche uniche. La medicina ad esempio unisce alle competenze tecniche un “giuramento” affinché questa tecnica sia destinata a garantire le migliori condizioni di vita dell’uomo; il design italiano non ha un vero e proprio “giuramento” ma il senso potrebbe essere quello.
Che peso viene dato oggi al tema della bellezza?
La bellezza in senso lato è parte integrante del nostro modo di affrontare la vita. La bellezza del nostro territorio, quella dei nostri monumenti, delle opere d’arte e della nostra lingua attraverso borghi che il mondo ci invidia. Bello e brutto non sono però categorie assolute se non vengono abbinate a concetti di giusto o sbagliato e per fare questo il sistema di valori è fondamentale.
“Bello” può essere il vaso di fiori fuori dalla Spelonca dell’eremita di Filicudi che descriveva Ettore Sottsass, perché capace di dare dignità di cose. “Bello” possono essere i piedi sporchi di personaggi dei quadri di Caravaggio o il cappotto rattizzato di Marlon Brando in “Ultimo tango a Parigi”. La bellezza è molto spesso nelle intenzioni di un gesto, non bastano superfici patinate o proporzioni auree a garantirla. Non ci si innamora degli occhi di una persona, bensì del suo sguardo. Il design italiano è uno sguardo poetico sulla vita.
Il binomio uomo/ambiente, da sempre al centro del progetto, che nuovi significati assume? Su quali aspetti può far leva il designer?
Il nostro pianeta è per ora l’unico a disposizione, il suo difficile e delicato equilibrio si è reso evidente ai più dopo Chernobyl, quando ci si è accorti che un fatto lontano migliaia di km aveva conseguenze importanti sull’orto di casa nostra. Ci si è anche resi conto di come le risorse non siano infinite e di come una scelta di politica industriale o agricola possa cambiare il nostro clima o le nostre abitudini alimentari. La globalizzazione unita all’incremento esponenziale delle produzioni determina scenari che impegnano una riflessione vasta e certamente non modificabile. Il design in quanto disciplina trasversale ai saperi specialistici è certo la disciplina più adatta a garantire risposte più capaci di valutare conseguenze allargate.
L’avvento dell’IoT dona intelligenza agli oggetti, oggi in grado di accumulare informazioni e di reagire di conseguenza. Che sfide e responsabilità pone al designer e alle imprese questo importante filone di ricerca?
IoT è la grande sfida per il design dei prossimi anni. Spazi e oggetti, gratificati da un’intelligenza propria sapranno entrare in relazione con quello che sarà sempre più riduttivo definire “utente”.
Spazi e luoghi sapranno riconoscersi e quindi consolarci e gratificarci, ma anche aiutarci nei costumi e nei comportamenti. Questo attraverso intelligenze artificiali capaci di autoapprendere, facendo tesoro delle esperienze non solo proprie ma, attraverso la connessione di rete, delle esperienze di tutte le altre intelligenze artificiali. Un panorama complesso non solo per le modalità di relazioni con quello che sarebbe ormai improprio o riduttivo definire “fruitore”, ma per i quesiti sulle responsabilità che questa nuova dimensione pone ai progettisti, alle imprese, alla società. Il design, con l’idea di miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo, può essere quindi una grande stella polare, capace di orientare l’azione delle imprese nel mare magnum della competizione globale.
In occasione della XXV edizione, il premio Compasso d’Oro ADI si è espresso anche attraverso una mostra che, nel mese di giugno presso il castello sforzesco, ha messo in relazione oggetti contemporanei e oggetti del passato. Quale il messaggio espresso?
Con la mostra abbiamo voluto sottolineare che il design oggi è un compagno di vita quotidiana per tutti, non solo una disciplina specialistica per progettisti e produttori.
Ogni tradizione ha senso infatti solo se trova quotidianamente ragione di essere. In questo senso, mettere in relazione i comportamenti dei Millennials con le grandi icone del design italiano rispetto alle 24 ore di una giornata tipo è stata la verifica di come il buon design travalichi il tempo.
La straordinaria affluenza di pubblico, attento alle manifestazioni culturali ma non particolarmente legato ai temi del design, ci ha confermato che questa disciplina oltre a costituire un fattore di sviluppo, è anche un tema vivo nella cultura contemporanea.
Una delle categorie del premio riguarda gli ambienti di lavoro. In questo ambito in che modo le proposte sono state influenzate dalle trasformazioni guidate dall’evoluzione delle tecnologie che lasciano sempre più libertà alle persone di organizzare nei tempi e nei luoghi la propria attività?
Il design per il lavoro è una delle categorie di analisi più vaste del Premio Compasso d’Oro ADI una categoria che registra sì i cambiamenti tecnologici, ma li mette in relazione ai comportamenti, anche in maniera provocatoria: oggi un tornio può essere interessante per un giovane quanto un computer e questo può determinare un cambio di prospettive rispetto al lavoro della fabbrica, troppo spesso snobbato dai giovani.
Il Premio Compasso d’Oro ADI
Istituito nel 1954, il Premio Compasso d’Oro ADI è il più antico ma soprattutto il più autorevole premio mondiale di design.
Nato da un’idea di Gio Ponti fu per anni organizzato dai grandi magazzini la Rinascente, allo scopo di mettere in evidenza il valore e la qualità dei prodotti del design italiano allora ai suoi albori. Successivamente esso fu donato all’ADI che dal 1958 ne cura l’organizzazione, vigilando sulla sua imparzialità e sulla sua integrità.
Gli oltre trecento progetti premiati in oltre cinquant’anni di vita del premio, insieme ai quasi duemila selezionati con la Menzione d’Onore, sono raccolti e custoditi nella Collezione Storica del Premio Compasso d’Oro ADI la cui gestione è stata affidata alla Fondazione ADI, costituita all’uopo dall’ADI nel 2001.
Il premio Compasso d’Oro viene assegnato sulla base di una preselezione effettuata dall’Osservatorio permanente del Design dell’ADI, costituito da una commissione di esperti, designer, critici, storici, giornalisti specializzati, soci dell’ADI o esterni a essa, impegnati tutti con continuità nel raccogliere, anno dopo anno, informazioni e nel valutare e selezionare i migliori prodotti i quali vengono poi pubblicati negli annuari ADI Design Index. Con un’iniziativa che non ha precedenti nell’ambito del design internazionale il Ministero dei Beni Culturali – Soprintendenza Regionale per la Lombardia, con Decreto del 22 Aprile 2004, ha dichiarato “di eccezionale interesse artistico e storico” la Collezione Storica del Premio Compasso d’Oro ADI, inserendola conseguentemente nel patrimonio nazionale.