Work hospitality
La nuova frontiera degli hotel business è un modello ibrido che intercetta la domanda business in modo continuativo, valorizzando la relazione tra ospiti e territorio. Spazi flessibili, ambienti relazionali e servizi pensati per i professionisti trasformano l’hotel in una leva competitiva capace di generare nuovo valore

Articolo a cura di Maria Rosa Ambroso*
Il concetto di luogo di lavoro ha subito una trasformazione radicale. Gli spazi aziendali tradizionali stanno lasciando il posto a modelli più flessibili e distribuiti, in cui le persone possono lavorare ovunque ci sia una connessione internet e un ambiente stimolante.
Da qui nasce il concetto di “hotelificazione degli uffici”, una tendenza che sta portando molte aziende a ripensare i propri spazi, trasformandoli in hub prenotabili a seconda delle esigenze. Ma se il lavoro può avvenire ovunque, perché gli hotel non dovrebbero diventare il nuovo punto di riferimento per il business moderno?
Per chi viaggia per lavoro, infatti, l’integrazione dell’esperienza lavorativa diventa un criterio chiave nella scelta della struttura fuori sede, e gli hotel si trovano oggi a rispondere a esigenze sempre più articolate.
Ma non si tratta solo di “aggiungere servizi”, bensì di ripensare radicalmente il concetto di ospitalità, integrando benessere e produttività, dimensione relazionale ed efficienza.
“Le hall non sono più solo un passaggio. Una lobby viva, abitata, dove si può prendere un caffè, fare una call o incontrare un cliente, è parte della nostra identità”, racconta Damiano De Crescenzo, direttore generale di Planetaria Hotels. “Questa visione l’abbiamo applicata fin dall’apertura del nostro Enterprise Hotel di Milano: grandi spazi comuni, soffitti alti, ambienti aperti alla città. Era una scelta anticipatrice, oggi è un’esigenza concreta”.

Quando l’accoglienza diventa ibrida (e sostenibile)
Sempre più hotel, soprattutto nelle grandi città, si stanno trasformando in hub multifunzionali: luoghi dove si soggiorna, si lavora, si socializza.
“Il cambiamento è già in atto. Milano è sicuramente la città più avanzata, ma anche Genova, Roma, Firenze stanno evolvendo. L’ospitalità si fa più fluida, più permeabile. È una questione di cultura, ma anche di business”, osserva De Crescenzo.
Una trasformazione che non si limita ai grandi gruppi. Anche la provincia dimostra che questo modello può funzionare, come racconta Silvia Pighi, imprenditrice e fondatrice di Bnbiz Coworking Hotel, un progetto di ospitalità ibrida a Fiorenzuola d’Arda. “Nel nostro spazio abbiamo affiancato un bed & breakfast a un coworking, pensando al professionista in viaggio che ha bisogno di fermarsi, lavorare, sentirsi accolto. È un’idea semplice, ma ancora poco compresa: solo un numero esiguo dei nostri ospiti utilizza lo spazio per lavorare, anche se poi ne rimane piacevolmente colpito.”
Una delle criticità, secondo Silvia, è la comunicazione: “Le aziende ci mandano ospiti, ma raramente spiegano loro che possono anche lavorare da qui. È un potenziale ancora inespresso, eppure le richieste ci sono. Solo che non sono sempre esplicite.”

Il modello Starbucks: ospitalità informale e relazionale
A margine di queste considerazioni, è interessante osservare un modello che ha rivoluzionato silenziosamente il modo in cui intendiamo uno “spazio di lavoro”: Starbucks.
Nato come coffee shop, si è trasformato in uno degli ambienti di lavoro informali più diffusi al mondo.
Ma perché funziona? Sicuramente per alcune caratteristiche che, se applicate con intelligenza al mondo alberghiero, possono generare spazi diffusi di lavoro e relazione. Tra queste:
• Wi-Fi gratuito e postazioni accessibili
• Atmosfera accogliente, non troppo formale
• Nessuna pressione al consumo
• Accessibilità e informalità
• Community spontanea
“Un coworking all’interno di una struttura accogliente racconta qualcosa di te”, spiega Silvia Pighi. “Voglio un luogo che mi rappresenti, che parli il mio stesso linguaggio, che comunichi professionalità ma anche calore.”
Dal cliente occasionale al valore relazionale
Una delle sfide principali è superare la distinzione rigida tra cliente ospite e cliente esterno. La frequentazione mista — tra viaggiatori, freelancer, studenti, partner — diventa una risorsa.
“Gli spazi hanno bisogno di vita, di frequentazione. È la diversità delle persone a generare energia. Un hotel dove succedono cose, dove si incrociano professionalità e culture, è un hotel che lavora meglio e vive meglio”, afferma De Crescenzo.
Silvia Pighi aggiunge: “Le relazioni che nascono in uno spazio condiviso spesso si trasformano in collaborazioni. Alcuni nostri residenti hanno deciso di non avere un ufficio proprio, ma di stare ogni giorno nel coworking: lì si incontrano, si raccontano, si contaminano. Questo per me è valore vero.”

Opportunità anche fuori dai grandi centri
Questo modello non riguarda solo le grandi città. È replicabile — con le dovute proporzioni — anche in provincia, nelle aree servite da poli industriali o in destinazioni meno turistiche ma economicamente attive.
“Abbiamo scelto di fare qualcosa di diverso, anche per necessità. Non avevamo un grande nome, ma un’idea forte. E questa ci ha permesso di creare un’identità nuova”, racconta Pighi.
“La pandemia ha accelerato questa trasformazione. Molti professionisti oggi cercano luoghi alternativi all’ufficio classico per incontrarsi, confrontarsi, fermarsi a lavorare qualche ora tra un treno e una riunione”, spiega De Crescenzo. Ed è proprio in queste zone che una visione lungimirante può fare la differenza.
Verso un’identità nuova dell’ospitalità business
Il 35% delle prenotazioni negli hotel è legato al turismo business, e uno dei vantaggi strategici della Work Hospitality è proprio quello di espandere l’attività oltre i picchi stagionali, intercettando una domanda stabile e qualificata.
In quest’ottica, un lounge bar attrezzato, un giardino con Wi-Fi e prese di corrente, una sala versatile dove lavorare o fare networking, diventano fattori competitivi tanto quanto la camera confortevole o la colazione gourmet.
Silvia Pighi sottolinea un punto chiave: “Il futuro? Una rete. Come cerchi un hotel con palestra o dog-friendly, dovresti poter cercare un hotel con coworking. Sarebbe un servizio prezioso per tanti professionisti e un’opportunità per chi gestisce una struttura ricettiva.”

Conclusione: gli hotel come hub per il lavoro e le relazioni
Gli hotel possono diventare molto più che semplici strutture ricettive: possono essere spazi di contaminazione, dove il viaggio d’affari si fonde con la crescita professionale e personale.
Un aspetto chiave è che l’hotel deve riflettere i valori di chi lo sceglie: il design, i servizi, l’esperienza devono essere un’estensione della filosofia aziendale o dello stile di lavoro individuale.
“L’identità di un luogo si costruisce anche attraverso chi lo abita. Se rendiamo l’hotel un ambiente aperto, coerente, relazionale, allora avremo creato qualcosa che va oltre l’accoglienza: avremo costruito una comunità”, conclude De Crescenzo.
E Pighi chiude con una visione concreta e ispirante: “Abbiamo creato un luogo dove dormi, lavori, ti connetti. È ancora una nicchia, ma è lì che nasce l’innovazione.”
L’ospitalità business non è più solo un servizio, ma un’esperienza completa, flessibile e su misura per il professionista moderno.
(*) Maria Rosa Ambroso è space planner e consulente nella progettazione di ambienti di lavoro da oltre trent’anni, accompagno aziende e professionisti nella definizione di spazi che riflettano l’identità del brand e favoriscano benessere, dialogo e senso di appartenenza. Parallelamente all’attività progettuale, si dedica alla scrittura come forma di riflessione e racconto del mondo del lavoro. Oltre a curare rubriche e contributi per riviste di settore, progetto e coordino l’house organ aziendale come spazio editoriale in cui le persone possono riconoscersi, condividere visioni e valorizzare la cultura d’impresa. Crede in un approccio che unisce ascolto, strategia e sensibilità narrativa: perché ogni spazio, come ogni parola, può generare connessione. (mariaambroso@gmail.com)
