BIM come metodo per gestire e valorizzare il patrimonio immobiliare
Non solo alleato in fase di progetto, ma risorsa fondamentale per il facility management nella gestione dell’intero ciclo di vita di un edificio, tanto nelle nuove edificazioni quanto per il patrimonio esistente. Dieci aziende hanno partecipato alla tavola rotonda dedicata proprio al BIM e ne hanno approfondito le potenzialità attuali e le prospettive future
È dal 1987 che il BIM (Building Information Modeling) è parte del processo di digitalizzazione del settore delle costruzioni, ma se all’inizio ha visto crescere il proprio successo strettamente in ambito progettuale, perché offriva la possibilità di costruire modelli geometrici tridimensionali utilissimi in fase di composizione, nel tempo il suo utilizzo ha abbracciato diverse discipline professionali e l’intero ciclo di vita del progetto.
Evoluzione che ha fatto sì che il BIM venisse usato nel settore edile tanto per la progettazione, quanto per la costruzione, coordinando le fasi di cantiere, sino al facility management e la manutenzione dell’edificio nel tempo.
Oggi il BIM è applicato attraverso strumenti software evoluti, che possono essere ricondotti a due macrocategorie: i software BIM Authoring (ArchiCAD, Allplan, Revit) con i quali vengono creati i modelli nelle varie discipline; e BIM Processing/Reviewing, che a partire da un modello BIM permettono ulteriori elaborazioni (federazione, analisi interferenze, preventivazione, ecc).
Il potenziale del BIM deriva, dunque, dalla possibilità di condividere il modello dell’edificio fra le varie figure professionali coinvolte nel progetto e nella gestione dell’immobile, che hanno uno strumento per dialogare anche da remoto ed essere aggiornati passo dopo passo sullo stato dell’edificio.
Se i vantaggi, in fase progettuale, sono ormai conosciuti e diffusi, soprattutto in Italia, è ancora necessario sottolineare quanto il BIM possa essere un vantaggio anche in fase di facility management per la gestione del patrimonio immobiliare esistente.
Questi gli argomenti discussi durante la tavola rotonda organizzata da Officelayout che ha coinvolto dieci realtà attive nel mondo del BIM. Attraverso la loro esperienza sul campo si è voluto tracciare il panorama attuale, fra potenzialità da sfruttare, pregiudizi da combattere, prospettive di diffusione e di incremento di business. Sì, perché uno degli aspetti ancora da valorizzare, soprattutto nel nostro Paese, è il ritorno che l’iniziale investimento garantisce. A monte, però, ci sarebbero alcune condizioni da rispettare: ragionare per obiettivi, in modo da modulare l’investimento e l’impegno in funzione delle reali necessità e in un’ottica di scalabilità; essere consapevoli di quali figure professionali sono necessarie per coordinare e ottimizzare l’uso del BIM, partendo dal project manager e avendo come base l’apertura mentale e la flessibilità fra competenze specifiche e un’attitudine trasversale – fra discipline – all’innovazione e alla collaborazione fra i soggetti.
Diversi sono i pregiudizi da combattere con determinazione, come per esempio la paura di divulgare il modello, le problematiche legate alla protezione di dati sensibili e alla diffusione di dettagli fondamentali sul progetto, dal punto di vista della sicurezza e del segreto industriale. Ma anche il timore di intraprendere un investimento importante senza essere certi – per mancanza di competenze e di direttive precise – che ci sia un ritorno compatibile con quanto speso inizialmente. Un fattore di primaria importanza, considerato il tessuto delle imprese italiane, che sono soprattutto di piccole dimensioni e a conduzione familiare e dove i passi verso l’innovazione e gli investimenti vengono molto ponderati.
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Si tratta, appunto, di pregiudizi: l’aiuto che il BIM può offrire in fase di computo metrico, quanto durante il ciclo di vita dell’immobile, nell’ottimizzare l’utilizzo degli spazi, i consumi energetici e la manutenzione è innegabile. Si inserisce, fra l’altro, in un trend fondamentale, che vede gli immobili diventare asset attivi, da manutenere nel tempo con il massimo impegno perché non perdano valore.
Ad aiutare a sviluppare una corretta consapevolezza sul BIM, sia la stretta relazione con il panorama internazionale, dove la diffusione è più capillare. Fattore che imporrebbe anche ai referenti italiani un medesimo approccio metodologico.
Un percorso in evoluzione, dunque, che deve prevedere un piano di formazione per i professionisti ma anche un cambiamento di sensibilità e di percezione verso la condivisione, l’attitudine all’innovazione e l’apertura mentale. Anche perché la strada è ormai segnata: dal primo gennaio 2019, infatti, l’utilizzo del BIM è obbligatorio per le opere pubbliche di importo pari a 100 milioni di euro; dal 2020 per i lavori complessi oltre i 50 milioni e, a scalare, sino al 2025 quando sarà obbligatorio per tutte le nuove opere.
L’evoluzione del BIM e i nuovi vantaggi
Cambia il modello gestionale di un immobile, che passa da esclusivo asset in conto capitale (Capital Expenditure) a componente attiva dell’ottimizzazione dei costi operativi (Operating Expense), e cambia, in parallelo, anche il ruolo del BIM, non più sistema operativo semplicemente dedicato alla progettazione, ma strumento utile per la gestione dell’immobile nel suo intero ciclo di vita.
Valerio da Pos, direttore Cadline Software per Namirial, sintetizza così il cambiamento in atto: “Il BIM è diventato un acronimo generalista, perché non più riconducibile unicamente alla fase di progettazione, ma rappresenta la completa trasformazione dell’edilizia in ambito digitale. La revisione delle sue funzionalità apre a nuovi metodi di applicazione e gestione che implicano l’inserimento di nuove figure professionali. Dal punto di vista pratico, il BIM dà la possibilità di ‘virtualizzare’ un edificio e di vederlo come un laboratorio di visualizzazione degli spazi; si può usare in fase di progettazione, ma anche in fase costruttiva per seguire l’avanzamento del cantiere e in fase gestionale e operativa, soprattutto grazie all’introduzione del sensoring che offre la possibilità di monitorare l’edificio: ecco la vera essenza del BIM”.
Anche Paola Soma, amministratore delegato di Edilclima, sottolinea come con la trasformazione edilizia sia cambiato anche il ruolo del BIM: “In questi anni sono cambiate le esigenze relative alla progettazione di un edificio e l’utenza si è allineata richiedendo caratteristiche più performanti all’involucro e agli impianti; si chiede infatti che l’edificio abbia elevate prestazioni energetiche e acustiche, che sia sicuro nei confronti di ogni tipo di rischio, salubre, confortevole, “intelligente”, sostenibile, quindi collegato a un processo di progettazione integrata e multidisciplinare, che sia in grado anche di garantire un basso impatto ambientale, oltre che il controllo e il contenimento dei costi, in tutte le fasi della vita dell’edificio. In questo contesto il BIM, se ben coordinato, può rappresentare la soluzione, in quanto può rendere disponibile un unico modello digitale dell’edificio, aggiornabile e interrogabile dalle varie figure professionali durante l’intero ciclo di vita dell’edificio.
Claudio Barluzzi, Bim executive business Coach di One Team, partecipa al dibattito affermando: “Con l’evoluzione di internet e della banda larga e la conseguente possibilità di gestire modelli complessi, condivisibili in ogni luogo e in ogni momento, l’edilizia ha vissuto un cambiamento radicale. Con il BIM infatti non si lavora più attraverso la condivisione di informazioni one to one, il vero protagonista diventa il modello condiviso. Ma come trasformare il BIM in un’opportunità di business? Uno degli aspetti è sicuramente la possibilità di un contenimento dei costi attraverso i modelli di gestione predittiva, che in ottica BIM significa mettere a punto strategie sulla base di dati reali. Ad esempio, in un edificio per abitazioni, il modello BIM potrà recepire i dati dei sensori di temperatura e umidità per regolare al meglio il funzionamento della centrale termica e quindi il consumo energetico. In questi casi, in cui il modello BIM continua a vivere e aggiornare il suo stato insieme all’edificio, si parla di BIM level 4, o anche di Lifecycle BIM, di IoT e di Smart Building. Il connubio poi fra BIM e GIS consente, con la georeferenziazione del modello, di passare dallo Smart Building alla Smart City, dando uno strumento di fondamentale importanza alla moderna urbanistica.
One Team insieme ai propri partner tra cui il Politecnico di Milano ha prodotto un metodo (Metodo One Team) ormai da tempo collaudato, rivolto a tutta la filiera, declinato per stazioni appaltanti, studi di ingegneria e architettura e aziende manifatturiere, che intendono introdurre la metodologia Bim all’interno dei loro processi. Il metodo è caratterizzato da una fase di analisi iniziale molto contenuta e da una importante parte operativa in cui viene affiancato il cliente nello sviluppo di un lavoro reale. Metodo che è stato finora applicato con successo in circa trecento aziende”.
Sugli aspetti gestionali dell’immobile Alberto Del Santo, business development manager di SAP aggiunge: “SAP, attraverso le sue soluzioni a supporto del BIM, può gestire il ciclo di vita completo di un’infrastruttura, partendo dalla progettazione per arrivare al decomissioning, cioè allo smantellamento della stessa, includendo la gestione della gara d’appalto, delle fasi di costruzione e il facility management. Le informazioni necessarie vengono ricavate dalle fonti vettoriali CAD, dai sistemi gestionali integrati e da attività di data ingestion che permettono di realizzare rendering multilayer (parti strutturali, impiantistica, etc.) integrati con informazioni su materiali, costi, approvvigionamenti, pianificazione/implementazione delle fasi di costruzione e manutenzione; tutto in un’unica istanza integrata con i sistemi gestionali.
La tecnologia ha innescato profondi cambiamenti nel real estate, cambia il modo di intendere l’edificio, passato dall’essere semplice guscio a oggetto tecnologico evoluto. Il BIM è lo strumento capace di traghettare questo cambiamento mettendo a fattor comune tutte le informazioni raccolte in fase di progettazione, per poi usarle per la composizione degli spazi, per definirne i possibili utilizzi e per la loro gestione in un’ottica di ottimizzazione economica e operativa. Il BIM, dunque, non è un semplice insieme di standard ma una metodologia aperta, un paradigma mentale”.
Le nuove figure professionali e le competenze necessarie
Se il BIM, dunque, si è ritagliato un nuovo ruolo nel mondo del progetto, capace di abbracciare tutte le fasi di vita dell’edificio e con una funzione concreta anche nella sua gestione, diventa fondamentale che, a seguirne l’evoluzione e sfruttarne le potenzialità, ci siano committenti preparati e figure professionali in grado di gudarne l’implementazione e l’uso.
Secondo Flavio Andreatta, country manager di ALLPLAN: “L’edificio è oggi equiparabile a una macchina complessa, di conseguenza operare attraverso il BIM significa essere in grado di dare risposte adeguate a questa crescente complessità. E lo si può fare solo affiancando diverse discipline, che dovranno comunicare tra loro e lavorare su dati condivisi. Serve tuttavia la consapevolezza che gli strumenti software sono lo strumento tecnologico con cui supportare un processo che deve essere governato attraverso le competenze del project manager.
È quindi fondamentale focalizzarsi sugli obiettivi: solo procedendo per step e coinvolgendo figure specializzate sarà possibile integrare i sistemi esistenti e applicare una visione a livello strategico”.
Sulla stessa linea Edoardo Accettulli, direttore generale di Anafyo, che afferma: “Si commette spesso l’errore di considerare adatto al ruolo di referente BIM una persona che semplicemente conosce bene il software. In realtà questa è solo una delle figure che servono, bisogna lasciare spazio anche al project manager capace di coordinare le competenze con una visione ampia”.
L’utilizzo del BIM diventa dunque strategico quando è in grado di agire ad ampio raggio, affiancando diverse professionalità per offrire una visione globale e a lungo termine come conferma Luca Moscardi, sales and marketing director di Lemsys: “Il cambiamento radicale avverrà solo se la rivoluzione digitale sarà in grado di portare innovazione ed efficienza, attraverso processi che producono valore a tutta la filiera delle costruzioni. Affinché ciò avvenga è necessario che le figure professionali connesse ai vari processi comprendano che la tecnologia sta cambiando le modalità operative. È dunque necessario riuscire a creare il giusto mix fra le specifiche competenze professionali e, parallelamente, favorire modalità operative in linea con le evoluzioni tecnologiche. Perché solo chi sarà in grado di interpretare le opportunità che la tecnologia mette a disposizione avrà un futuro, gli altri rincorreranno”.
Paola Soma sottolinea come il nuovo progettista debba essere oltre che competente nel suo settore e in grado di interagire con le altre figure professionali, anche aperto al cambiamento e capace di individuare le opportunità che le nuove tecnologie offrono, senza considerarle solo in termini di costi e di tempo da dedicarvi.
Continua Andrea Fronk, technical director di BIM Factory, che conferma: “Le competenze necessarie sono diverse rispetto al passato, perché si sta sempre più affermando un forte concetto di collaborazione, fondamentale per riuscire a lavorare su uno stesso modello informativo integrando i dati prodotti da ciascun attore coinvolto. In questo contesto, la committenza deve dialogare coi progettisti e dare i giusti input, dimostrando anch’essa una certa maturità digitale. Si tratta di sviluppare una nuova ‘cultura della committenza’, come esorta Angelo Luigi Ciribini, professore di Ingegneria Civile e Architettura presso il DICATAM, Università degli Studi di Brescia”.
I nuovi committenti e le potenzialità future
Oltre a una visione aperta, da affiancare a specifiche competenze, è fondamentale poter collaborare con committenti illuminati che, fin dalle prime fasi, siano in grado di presentare richieste circostanziate, che tengano in considerazione le potenzialità del BIM a 360 gradi.
“Se non si ricevono gli input giusti difficilmente si riuscirà a sviluppare il progetto nel modo migliore. La committenza, sia pubblica che privata, non sempre è in grado di effettuare richieste articolate all’inizio del processo. Così, spesso, il BIM viene limitato al solo ambito architettonico, non arrivando a sfruttare nemmeno il 50% delle sue potenzialità”, racconta Edoardo Accettulli.
Marco Desideri, direttore generale Descor INFOCAD, continua sullo stesso concetto: “Dovrebbe essere la stazione appaltante a fornire le informazioni iniziali specificando i compiti del BIM, che in caso contrario verrebbe visto unicamente come adempimento obbligatorio. A monte vi è dunque la necessità di mettere a punto gli obiettivi per ottimizzare il processo ed evitare che la filiera risulti spezzata e inefficace, tenuto conto che il costruttore, mirando a ridurre i costi, spesso non è interessato a ottimizzare le potenzialità del BIM. Diviene quindi fondamentale l’utilizzo di un Common Data Environment quale strumento per raccogliere, archiviare e organizzare i dati del BIM e per condividerli con le varie professionalità e centrare l’obiettivo di gestire l’intero ciclo di vita dell’edificio, anche in ottica di Facility Management”.
Fondamentale, in questa evoluzione, far comprendere ai committenti quanto le potenzialità offerte dal BIM corrispondano a un effettivo ritorno economico. Luca Moscardi presenta la propria esperienza sul campo: “Occupandoci di tecnologie a supporto dei processi, abbiamo vissuto in pieno l’evoluzione del BIM e da qualche anno stiamo notando come si stia rovesciando l’interesse della filiera: le aziende, le stazioni appaltanti, chi gestisce i patrimoni immobiliari sempre più vedono il BIM come uno strumento per efficientare il business. Si tratta di un cambiamento importante perché, essendo la committenza in cima alla catena del processo, è quest’ultima a definire le regole con cui i diversi operatori dovranno conformarsi durante l’esecuzione del progetto. Soprattutto quando si tratta di committenti privati, si può affermare che sia in atto un cambiamento culturale positivo spinto da motivi legati al ritorno economico. Per la committenza pubblica, oltre all’obbligatorietà introdotta a partire dal 2019, c’è ancora molto da costruire per far comprendere i reali vantaggi che la commessa digitale comporta. L’ostacolo più difficile da superare riguarda la disponibilità delle persone di essere protagonisti del cambiamento”.
Un panorama frastagliato, quindi, quello dell’Italia, che vede l’utilizzo del BIM seguire percorsi e marce diverse in funzione della committenza che ne coordina la gestione Ne dà conferma anche Alberto Del Santo che racconta: “L’Italia vive contemporaneamente le best e le worst practice; sarà il mercato a spingere l’eccellenza del modello BIM. Il grosso cambiamento è mosso dalla nuova percezione dell’immobile, diventato come un macchinario che, quindi, si può svalutare per obsolescenza e diventare un asset dormiente o, al contrario, essere aggiornato e aumentare di valore grazie a una gestione innovativa guidata dal BIM. È proprio in questo punto che si distingue la committenza più illuminata, spesso identificabile laddove la figura del committente coincide con quella del gestore o dove l’infrastruttura costruita appartenga al core business del committente rappresentando un asset strategico per la catena del valore (si pensi per esempio ad una rete ferroviaria o ad infrastrutture aeroportuali). In questi casi infatti la condivisione dei dati e dei modelli digitali fra chi progetta, chi costruisce e che esercisce l’infrastruttura assume un valore elevatissimo. Differentemente, quando questi ambiti non sono in strettamente interoperabili, il BIM viene spesso visto come un mero ostacolo burocratico/normativo”.
Aggiunge Valerio Da Pos: “Il committente cerca la resilienza del valore, cioè il valore nel tempo, indicandola genericamente in ‘sostenibilità’, che va declinata nei suoi diversi significati: riuso del vecchio, non solo perché esiste già ma anche perché spesso è più veloce e disponibile; la sua accessibilità (servizi , trasporti , logistica) ; essere tecnologicamente “smart”; ed essere flessibile, in grado cioè di adattarsi a diversi usi nel tempo; il BIM non è la domanda ma è lo strumento per raggiungere questi obiettivi”. Quando la Pubblica Amministrazione è la figura committente, alcuni esempi virtuosi potrebbero fare da traino e spingere anche le amministrazioni meno innovative ad avvicinarsi al BIM in modo costruttivo; è il caso di quanto successo con il “Metodo Liguria”, riportato da Stefano Amista, specialist presales imprese AEC e BIM di TeamSystem, che racconta :“In Liguria la Pubblica Amministrazione ha stanziato risorse per fare istruzione sul BIM e, oggi, la Regione inizia ad avere i primi risultati, prendendo coscienza che lavorare in BIM permette di ottimizzare la filiera, monitorare e ottimizzare i costi e gestire il manufatto in modo trasparente. Dunque, un modello virtuoso che cerchiamo di trasferire anche in altre Regioni. Va però precisato che prima di parlare del BIM, bisogna digitalizzare tutta la filiera tenendo conto che essere digitali oggi non significa parlare di un file come astrazione di un foglio di carta; vuol dire mettere in comunicazione i diversi sistemi attraverso piattaforme fra loro interconnesse e semplici nell’utilizzo”.
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Le potenzialità del BIM nella gestione del patrimonio esistente
In un Paese in cui la gestione e l’aggiornamento del patrimonio immobiliare esistente rappresenta un impegno ben più gravoso rispetto alle nuove edificazioni, il BIM può costituire la chiave di volta.
È necessario però abbattere i pregiudizi e ampliare la conoscenza delle potenzialità del sistema, che si dimostra strategico anche nelle fasi di raccolta e gestione dei dati.
I professionisti che hanno partecipato alla tavola rotonda concordano sul fatto che, nel caso dell’applicazione del BIM al patrimonio esistente, si debba lavorare per obiettivi.
Flavio Andreatta riassume così il concetto: “A livello di tecnologia si può fare molto, ad esempio attraverso l’utilizzo del laser scan si può ottenere rapidamente il modello BIM di un edificio esistente. Assodato, quindi, che il freno non è tecnologico, è necessario parlare di metodo. Bisogna discutere di obiettivi: quale livello di definizione geometrica e quali informazioni sono necessarie nel gemello digitale di un edificio esistente a seconda degli usi e degli scopi per cui si procede a realizzare questi modelli di dati”.
In funzione dell’obiettivo prefissato, dunque, si potrà modulare il proprio approccio al BIM. “Se è necessario ricostruire il modello dell’edificio per coordinarne la gestione, non serviranno le misure al millimetro. Basterà inserire esclusivamente le informazioni necessarie al raggiungimento dell’obiettivo finale – conferma Edoardo Accettulli –. Le tecnologie ci sono e permettono di fare tutto, si tratta dunque di definire il modello in funzione della sua utilità, tenuto conto che si può procedere per step, partendo dai dati di base e aggiungendo particolari a seconda dell’intervento da eseguire”. Dello stesso parere Andrea Fronk: “Il livello di restituzione geometrica e informativa di un modello è assolutamente “scalabile” in funzione degli obiettivi prefissati, la finalità è quella di ottenere uno strumento utile per avere a disposizione informazioni chiare e tracciabili. Ancora oggi, dati e informazioni di progetto sono spesso “archiviati” nella sola memoria storica di chi quel progetto (o quel manufatto) l’ha seguito e vissuto”. Fondamentali i potenziali vantaggi economici derivanti dall’applicazione del BIM sull’esistente: possono riguardare la gestione e derivare dalla raccolta dei dati e dalla loro elaborazione – in termini di utilizzo degli spazi e della conseguente maggiore funzionalità degli stessi; oppure possono derivare dal monitoraggio degli impianti, come sottolinea Paola Soma: “Sull’esistente bisogna considerare l’obiettivo che si vuole raggiungere anche in termini economici, tenuto conto che spesso ci sono ampi margini di risparmio energetico. Lo sforzo iniziale nel predisporre il modello si recupera in prospettiva attraverso il contenimento dei consumi. Il metodo dinamico orario, ad esempio, permette di fare simulazioni dettagliate del consumo energetico dell’edificio, quantificando con precisione il risparmio conseguibile a seguito di interventi migliorativi del sistema edificio-impianto. Attraverso il machine learning, partendo da dati rilevati, si può arrivare a un uso più efficiente degli impianti, con conseguenti risparmi in fase di gestione e manutenzione. Anche in questo caso, le esperienze virtuose si incontrano quando il coordinamento illuminato è presente fin dai primi passi, quando gli standard e gli obiettivi sono chiari”.
Marco Desideri sottolinea quanto sia importante spiegare con precisione ai committenti i vantaggi che seguiranno la definizione di un modello BIM, che nel caso dell’esistente viene visto semplicemente come un costo: “Il monitoraggio è chiaramente un vantaggio, ma arriva dopo aver alimentato i processi, per questo è bene presentare il BIM come uno schema utile per inserirci dati e cristallizzarli per un uso successivo. Il BIM dell’esistente richiede investimenti importanti in quanto contiene solo i dati reperibili e che vengono inseriti manualmente, non si può pensare di limitarlo alla sola fase di progettazione e costruzione, ma ha senso se viene inteso come insieme di dati da utilizzare per alimentare i processi produttivi dell’azienda partendo ovviamente da quelli di Facility Management.
Il BIM deve essere un elemento funzionale per l’intera filiera di un patrimonio immobiliare, un raccoglitore di dati che non vengono ereditati dalla progettazione, bensì vengono acquisiti durante tutto il percorso di creazione e sviluppo dell’immobile. Sarebbe quindi opportuno parlare di Building Information Management, nell’ottica di una visione della metodologia che con il Facility Management diviene data driven”.
Quale uso? Sono tanti, in realtà, gli usi possibili, come specifica Luca Moscardi: “Il BIM porta innumerevoli vantaggi nella parte operation e mantainance: poter disporre di informazioni aggiornate, aggregate e funzionali collegate ai un modelli BIM è di fondamentale importanza per il facility manager che potrà operare in modo semplice e diretto le scelte basate su informazioni aggiornate e attendibili volte all’ottimizzazione del manufatto. Si inserisce, così, un altro vantaggio: gli immobili, per mantenere il loro valore devono aggiornarsi in continuazione e poter disporre delle informazioni necessarie per assecondare nuove esigenze o funzionalità”.
A grande scala, riprendendo anche il concetto di scalabilità accennato prima, il BIM sarà utile anche nel caso di patrimoni di grandi dimensioni; disporre di dati aggregati non di un singolo edificio ma di più immobili consentirà di sviluppare una valutazione economico-finanziaria precisa, utile per considerare un immobile come asset. In sintesi, come espresso da Valerio Da Pos, non è più possibile approssimare e anche per l’esistente avere a disposizione un modello BIM significa avere un punto di partenza virtuoso per poi dare il via a successive elaborazioni sviluppate per obiettivi: “Che serva per il facility management, per la progettazione, per l’analisi e la gestione… restituire il modello CAD in BIM è un passaggio fondamentale per immaginare e prevedere sviluppi successivi dell’immobile”.
Alberto Del Santo dà un’altra lettura del BIM applicato al patrimonio immobiliare esistente introducendo i concetti di compliance e di predictive manteinance: “Sviluppare un modello BIM su un edificio storico permette, ad esempio, di gestire in modo efficiente e ottimale le deamiantificazione. Allo stesso modo potrà rappresentare un valido supporto nella gestione degli spazi, nell’accertamento dei metri quadri a disposizione d ciascun lavoratore, ecc. Tutti fattori che garantiscono rispetto delle normative e una corretta gestione dell’immobile anche in relazione alla conformità e adeguatezza degli spazi. Altro aspetto riguarda la manutenzione predittiva: grazie anche alla connessione del BIM ai sistemi di Intelligenza Artificiale armonizzati alle informazioni storiche sul ciclo di vita degli asset, sarà possibile localizzare e anticipare eventuali malfunzionamenti e accrescere ulteriormente il valore di un investimento nell’applicazione del metodo BIM che spesso viene considerato solo un costo di compliance”.
Per concludere, facendo un passo verso il futuro, associare il patrimonio immobiliare esistente al BIM, a sua volta connesso al machine learning e all’intelligenza artificiale è la soluzione per far funzionare meglio l’edificio.