Nuove politiche urbane: da Milano NoLo a Parigi si punta su prossimità e comunità, grazie all’intervento del design
Per creare quartieri e città che siano davvero a servizio delle comunità servono le competenze dei professionisti del design, che aiutino gli amministratori a mettere a terra progetti concreti, capaci di anticipare i bisogni dei cittadini e affrontare le sfide del futuro
di Francesco Zurlo, Presidente di POLI.design
La voglia e la necessità di abitare la prossimità e la nuova idea di città sono in parte figlie della pandemia che ha travolto il mondo intero negli ultimi due anni. Anche perché dopo aver digitalizzato il lavoro e persino le relazioni, il bisogno di tornare a vivere una vita normale è letteralmente esploso. Mettendo i policymaker di fronte a nuove sfide. Già prima del Covid, a Parigi si era cominciato a riflettere su un modello alternativo a quello della metropoli disegnata per funzioni separate nella seconda metà del diciannovesimo secolo da George Haussmann: un nuovo modello che la sindaca Anne Hidalgo ha battezzato ville du quart d’heure, città del quarto d’ora, con spazi abitativi a breve distanza da lavoro e servizi. In Australia, il comune di Melbourne ha varato il piano twenty minutes neighborhood, impegnandosi a garantire ai cittadini la possibilità di soddisfare la maggior parte dei propri bisogni quotidiani con una passeggiata da casa. E ancora: a Copenaghen è nato il quartiere soprannominato five minutes to everything, mentre Genova sta ripianificando secondo un modello che chiama la città dei 2 km.
La mobilità sostenibile
I modelli sono diversi, ma dovunque si lavora per favorire una mobilità lenta, affinché i servizi siano raggiungibili a piedi o in bicicletta con l’obiettivo di decentralizzare il più possibile la molteplicità di servizi e attività necessari alla vita urbana. Recuperando anche aree un tempo dismesse o despecializzate. L’esatto contrario della gentrificazione, che ha diviso le città in classi sociali.
A Milano, quello di NoLo è un esempio di successo che ha visto una reale rivalutazione della comunità attraverso la progettazione del quartiere. In questo modo non solo crescono i servizi, ma anche la comunità locale. E l’Off Campus del Politecnico, promosso dal collega Davide Fassi, gioca un ruolo importante all’interno del progetto: da una parte si sviluppa una didattica innovativa, dall’altra si lavora alla co-progettazione con le realtà locali per realizzare interventi in grado di produrre un impatto positivo sulla collettività. Come, per esempio, le attività sviluppate per il Mercato Comunale e le aree limitrofe. Una serie di esempi concreti da cui scaturisce un chiaro scenario per la città del futuro, tema indagato anche nel libro Abitare la prossimità scritto dal Professore Onorario del Politecnico di Milano Ezio Manzini.
Il design: il vero abilitatore del cambiamento
Osservando quanto già successo a Parigi, Melbourne, Copenaghen o Genova ci rendiamo conto che fortunatamente i nuovi sviluppi urbani di queste città considerano già le mutate esigenze dei cittadini, evidenziando come il cambiamento culturale e comportamentale sia già intrinseco nelle scelte degli amministratori. Tuttavia, questo cambiamento per concretizzarsi necessita di un soggetto che sia in grado di passare dall’idea al progetto e alla conseguente realizzazione.
È qui che entra in gioco il design, come vero e proprio abilitatore di questo processo. I professionisti del design possono creare e mettere a disposizione delle politiche urbane gli strumenti fondamentali per la messa a terra dei progetti di prossimità e dei valori che li contraddistinguono: reciprocità, relazione, la sussidiarietà. Il design è inoltre capace di rendere funzionale la bellezza, attivando ambienti dimenticati o sottoutilizzati, ma soprattutto anticipando i bisogni della comunità. Infatti, nel mondo del design è ben chiara l’idea che solo mettendo la progettazione al servizio delle comunità potranno nascere e svilupparsi nuove idee di città. Non a caso questo è stato il tema al centro della mostra e del public programme organizzati durante la Design Week 2021 dal Sistema Design del Politecnico di Milano (il polo di ricerca e formazione composto da POLI.design, Scuola del Design e Dipartimento di Design) in collaborazione con BASE Milano.
Durante il primo lockdown ci siamo scoperti a parlare sui pianerottoli di casa con vicini con i quali non avevamo mai scambiato più di un saluto e in molti casi abbiamo creato nuovi legami e amicizie. Oggi la politica si è accorta che senza punti di aggregazione funzionali, le relazioni – che pure sono diventate il centro di ogni attività progettuale – non possono crescere.
Dove entra in gioco attivamente il design? Per esempio, nel disegno di strade e parchi che favoriscano l’inclusione, prevedano punti di aggregazione, e allo stesso tempo garantiscano la sicurezza magari con una adeguata illuminazione e visibilità. E poi ancora, nel supporto che si può avere per progettare una migliore relazione tra spazi fisici e reti virtuali. Grazie al design dei servizi, per esempio, si può capire quale progetto può̀ caratterizzare un (nuovo) commercio di prossimità̀, o come gestire i flussi di mobilità per migliorare l’engagement dei cittadini a livello locale, o addirittura far emergere nuove comunità all’interno degli stessi condomini o quartieri. Ci possono essere varie motivazioni che innescano la creazione di una comunità locale. Merits, ad esempio, sperimenta a Milano una moneta alternativa che ha come obiettivo principale la creazione di relazioni. Le comunità energetiche, invece, si configurano localmente grazie a dispositivi tecnici che producono energia e la immettono in rete in un’ottica di scambio peer to peer: l’energia, bene immateriale, diventa talvolta attivatore di relazioni fisiche e tangibili nel locale.
Il futuro: la progettazione di città secondo un modello sostenibile
Il design può dare un contributo per affrontare la sfida anche in chiave ambientale: il real estate è già oggi il principale responsabile di emissioni di CO2 a livello globale, e senza un intervento rapido la situazione è destinata a peggiorare ulteriormente. Oggi le città occupano appena il 2% della superficie terrestre, ma secondo Oxford Economics, entro il 2040 la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi di persone. Il 65% di queste, poco meno di 6 miliardi, vivrà in aree urbane. Questo vuol dire che gli abitanti delle città cresceranno al ritmo di 80 milioni di persone l’anno. A conferma che senza un radicale ripensamento dello spazio urbano sarà impossibile sviluppare nuovi modelli economici sostenibili. E per farlo abbiamo bisogno di scelte urbanistiche che mettano in relazione gli aspetti economici e dell’abitare sociale.
Qual è quindi futuro dei quartieri delle nostre città? Si può pensare di ridisegnare una dimensione di quartiere attraverso azioni di co-progettazione con gli abitanti e gli attori locali, riprogettando gli spazi pubblici e i servizi alla persona in una dimensione iper-locale, potenziando una rete di servizi “dietro l’angolo”, anche grazie ad un approccio progettuale temporaneo. Si pensi al progetto “Aira” vincitore del concorso internazionale Reinventing Cities per l’area “ex macello” a Milano, che punta a recuperare una zona ormai in disuso nella città e diventare uno dei quartieri più interessanti del futuro. È il più grande progetto di housing a prezzi accessibili in Italia, caratterizzato da una qualità architettonica significativa che conserva alcuni manufatti storici e inserisce grandi funzioni urbane. Unisce una forte attenzione alla sostenibilità ambientale – verrà identificata come “Area Carbon Negative” – all’impegno per rafforzare la rete sociale, mettendo a disposizione luoghi di incontro per le associazioni del territorio, spazi dedicati per la costruzione di un tessuto relazionale aperto, sicuro e solidale sia per i nuovi abitanti che per quanti vivono nel quartiere Molise-Calvairate, Ortomercato e Porta Vittoria.
Sono fermamente convinto che il design debba occuparsi delle nostre città. Come afferma Ezio Manzini in Abitare la prossimità, i pilastri su cui costruire un futuro a misura d’uomo, superando il modello della “città delle distanze” e offrendo un’alternativa credibile alla società “del tutto a/da casa” sono tre: comunità, cura e innovazione digitale. E il design, in questi ambiti, può dare e fare molto, supportando e innescando l’inevitabile transizione verso la sostenibilità ambientale e l’innovazione sociale.