Smart Working: il futuro del lavoro agile

La fine del regime semplificato segnerà una nuova “era” dello Smart Working?

di Sergio Alberto Codella, partner dello Studio Orsingher Ortu Avvocati Associati 

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A causa dell’emergenza sanitaria, lo Smart Working è stato spesso “vissuto” più come una necessità volta a garantire la sopravvivenza delle attività imprenditoriali in momenti di assoluta criticità, che come un’opportunità di sviluppo e di miglioramento delle condizioni di vita del lavoratore, oltre che di incremento della produttività aziendale.

Non è superfluo ricordare che anche il Legislatore, facendo propria questa logica, ha provveduto, non in via definitiva, ma per un lungo periodo, a offrire un regime semplificato in materia di lavoro agile, soprattutto a determinate categorie di lavoratori più “sensibili”.

Da aprile, tuttavia, hanno cessato di essere in vigore, per il settore privato, alcune previsioni agevolative poste in favore di due tipologie di lavoratori: i dipendenti con almeno un figlio under 14 e i lavoratori cosiddetti fragili.

Il regime speciale per queste categorie di lavoratori riguardava soprattutto due aspetti: una maggior semplificazione, in quanto per questi dipendenti non era necessario sottoscrivere un accordo di lavoro agile, e una maggior tutela, in quanto lo Smart Working veniva considerato un “quasi” diritto.

Ritorno al regime ordinario

Superata la pandemia, e la relativa legislazione di emergenza, si è tornati al regime “normale” in tema di lavoro agile, cioè quello disciplinato dalla Legge 81 del 2017.

Alcuni ritengono che il ritorno a tale disciplina possa in qualche modo determinare un arretramento del lavoro agile, poiché il regime ordinario ingesserebbe troppo lo Smart Working con l’indicazione, d’ora in avanti, di stipulare un accordo scritto per tutti i lavoratori interessati.

Tale intesa dovrà contenere numerosi elementi, alcuni dei quali fissati a livello legislativo ai sensi dell’art. 19 della Legge 81 del 2017 e altri previsti dal Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile del 7 dicembre 2021, sottoscritto all’esito di un confronto tra le Parti sociali e promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

Dovranno essere, infatti, specificati: i luoghi eventualmente esclusi per lo svolgimento della prestazione lavorativa da remoto, la durata dell’accordo (a tempo indeterminato o determinato), l’alternanza tra i periodi di lavoro all’interno e all’esterno dell’azienda, i tempi di riposo del lavoratore e le misure per garantire la cosiddetta disconnessione, le modalità di controllo della prestazione, gli strumenti di lavoro utilizzati, le forme di esercizio del potere direttivo e disciplinare, l’attività formativa eventualmente necessaria ecc.

A mio avviso, comunque, la “formalizzazione” delle intese (peraltro già presenti in moltissime aziende) non dovrebbe determinare un arretramento del lavoro agile, ma anzi credo che possa essere un’occasione di evoluzione dello stesso.

Se, infatti, l’emergenza ha imposto una sorta di improvvisazione nell’implementazione del lavoro agile, l’attuale fase della “contrattualizzazione” è una sicura opportunità di evoluzione del sistema. A un primo approccio empirico, quindi, subentra l’esigenza di una maggiore riflessione tesa a focalizzare meglio gli obiettivi da perseguire e le aree di miglioramento da implementare.

Il fatto, poi, che il lavoro agile sia frutto di un accordo (e non di un obbligo), rende più esplicita l’idea, sotto il profilo relazionale, che sia un punto di incontro tra due soggetti interessati entrambi alla sua realizzazione.

Non si tratta, infatti, né di uno strumento imposto dall’alto, conseguente a una decisione datoriale senza la necessità di una condivisione con la forza lavoro (com’era appunto nella fase dell’emergenza), né di un vero e proprio diritto in favore di alcune categorie di lavoratori (come accadeva sempre durante l’emergenza).

Infatti, nel regime “ordinario” sarà più difficile parlare di “diritto” allo Smart Working in quanto esso viene di nuovo considerato come una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa attuata “allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.

In altre parole, come il dipendente non potrà pretendere di lavorare da remoto (magari per esigenze personali o familiari), così il datore di lavoro non potrà imporlo unilateralmente (per ottenere, ad esempio, un risparmio di costi).

Al più l’art. 18, comma 3 bis, della Legge 81 del 2017 riconosce una semplice “priorità” alle richieste di esecuzione di attività lavorativa in modalità agile per i lavoratori con figli under 12 o senza limiti di età in caso di figli disabili, oppure ancora per dipendenti con disabilità o per caregivers.

Quanto poi alle tecniche di “definizione” del luogo di lavoro prescelto, non appare né opportuna, né corretta la scelta di indicare nel patto di lavoro agile il luogo specifico (ad esempio l’indirizzo dell’abitazione) dove si svolgerà l’attività di Smart Working, in quanto il dipendente dovrà essere libero di individuarlo.

Ciò significa che nell’intesa non potrà essere individuato il singolo spazio di lavoro a meno di non correre il rischio di trasformare l’accordo di lavoro agile in un’intesa di telelavoro (fattispecie disciplinata da diversa fonte normativa), ma invece potranno e dovranno essere indicati genericamente alcuni luoghi di lavoro, escludendone altri per ragioni di sicurezza e privacy (ad esempio, vietando i luoghi pubblici).

Un altro importante aspetto da disciplinare in sede di accordo è quello della programmazione.

Sono invero rimesse alla libera scelta delle parti le modalità di definizione dei meccanismi di esecuzione dello Smart Working.

Alcune aziende stanno adottando un sistema che definisce montanti di giornate di lavoro agile su base settimanale, mensile, ma anche annuale, che il dipendente dovrà richiedere di usufruire e che il datore potrà accogliere attraverso sistemi di silenzio-assenso oppure di silenzio-rifiuto.

Tale aspetto non appare affatto secondario per quelle aziende che, contestualmente al lavoro agile, hanno pensato a una ridefinizione degli spazi di lavoro anche attraverso l’utilizzo di sistemi informatici di prenotazione delle postazioni di lavoro o di alcuni spazi specifici per ottenere una loro ottimizzazione.

È ovvio che una maggior flessibilità degli spazi degli uffici può funzionare solo se “a monte” vi è un’adeguata programmazione delle risorse presenti in sede e di quelle che prestano la loro attività “da remoto”.

Conclusioni

La gestione di uno Smart Working non più “imposto”, ma “condiviso”, appare quindi un punto di svolta per un nuovo approccio nell’ambito delle risorse umane, sempre più improntato all’autonomia e alla responsabilità, rispetto ad anacronistici e superati sistemi verticistici focalizzati sul controllo.

Lo dimostra anche il nuovo approccio di concepire gli “uffici” non più come luoghi funzionali al potere dei vertici attraverso la definizione di spazi riservati ed elitari, ma come luoghi di condivisione e dove ciascun individuo possa sentirsi realizzato all’interno della comunità.

Non bisogna, quindi, perdere l’occasione di progredire nella progettazione di modelli organizzativi sempre più evoluti, funzionali ed elastici, in cui l’accordo di Smart Working a ragion veduta può e deve collocarsi come un ulteriore e strategico tassello di innovazione.

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