La “rivoluzione” dei luoghi di lavoro

A seguito della pandemia si è andata dissolvendo la linea che determinava la differenza tra pubblico e privato, tra sfera lavorativa e sfera domestica.
È cambiata, di conseguenza, l’accezione dello spazio lavorativo, che non deve essere paradigmatico, ma può contaminarsi con quello domestico e diventare fluido

testo di Luca Romagnoli, Co-Founder di Modourbano

Con “rivoluzione” si intende un processo attraverso il quale si determini un radicale mutamento di fatto delle strutture economico-sociali e politiche o di particolari settori di attività.

Se nel mondo dei luoghi di lavoro possiamo parlare di rivoluzione, questa possiamo farla iniziare al marzo 2020 nel nostro settore e, facendo ricorso a un’iperbole storiografica, possiamo definirla la nostra 14 luglio, la nostra presa della Bastiglia.

Dal punto di vista storico la pandemia è stata la fine del lavoro in ufficio secondo la sua accezione novecentesca. In seguito ai vari lockdown mondiali la dimensione del lavorare in ufficio si è trasformata, nel giro di pochi giorni, nel lavorare nel nostro ufficio-domestico forzandoci a riadattare i luoghi del nostro vivere che, fino a quel momento, erano deputati al privato, allo spazio familiare. Si è andata dissolvendo quella linea che determinava la differenza tra pubblico e privato, tra sfera lavorativa e sfera domestica.

Vengono alla mente quelle prime videochiamate su Teams o su altre piattaforme in cui passavamo interminabili minuti a capire come condividere un documento, come tenere a bada i nostri figli, come trovare una scenografia che ci valorizzasse mentre apparivamo goffi e poco eleganti nelle nostre tute da casa. E poi, quella sequela di sfondi: cucine, camere da letto, improbabili soggiorni.
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Banca
Tema,  Arezzo
Foto:
Margherita Caldi
Inchingolo
Banca
Tema,  Arezzo
Foto:
Margherita Caldi
Inchingolo
Banca
Tema,  Arezzo
Foto:
Margherita Caldi
Inchingolo


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Da quel momento il nostro sforzo è stato rendere efficienti ed efficaci quelle ore passate davanti al pc, spesso in comunicazioni con altri colleghi. È nata la necessità di rendere le nostre case dei luoghi di lavoro, di trasformare quello spazio in una postazione, creando una sorta di ibridazione tra la casa e l’ufficio. L’approccio iniziale è stato quello di ricreare a domicilio la workstation che abbiamo abbandonato in azienda. È stato in quel percorso che ci siamo resi conto, forse anche inconsciamente, che lo spazio lavorativo non deve essere paradigmatico ma forse può contaminarsi con quello domestico, può diventare anch’esso fluido. Abbiamo assunto la consapevolezza che quella linea di demarcazione tra il lavorare e il non-lavorare non è poi così netta e che, soprattutto, la differenza tra uno spazio in cui si lavora e quello in cui ci si rilassa non è così necessaria. Da quel momento ci siamo trovati ad aver davanti le nostre schermate di Excel, di Word o le nostre mail e a esser circondati dal nostro giardino o dal panorama del nostro balcone, a trovarci seduti sul divano o su una sdraio e, al contempo, a valutare che questa nuova contestualizzazione del lavorare non inficiava sulla nostra produttività ma di sicuro sul nostro benessere portando miglioramenti che poi si rispecchiavano sulla nostra sfera personale e lavorativa.

Questa presa di coscienza, dal mio punto di vista, ha segnato la “rivoluzione” nel modo di concepire e, nel nostro caso, di progettare i luoghi di lavoro. Quest’atto “rivoluzionario” ha segnato un prima e un dopo nella gestione da parte delle aziende dei propri uffici e da parte dei lavoratori delle aspettative dal mondo workplace.

Sede MB Credit SolutionsFoto: Margherita Caldi Inchingolo
Sede MB Credit SolutionsFoto: Margherita Caldi Inchingolo


Luoghi di lavoro che promuovono la collaborazione

Nella concezione novecentesca la postazione di lavoro appariva come una concessione data dal datore di lavoro verso il proprio subordinato che aveva in tutto e per tutto un carattere standardizzato, privo di caratterizzazione da parte dell’utente. Dalle ricerche svolte nell’ambito della progettazione, si evince che ogni innovazione era puramente indirizzata al miglioramento della produttività, al miglioramento della gestione del processo; lo spazio lasciato al confort dell’operatore era considerato a un piano minore oppure era tenuto in considerazione solo se portatore di plus produttivi. Dopo la nostra “rivoluzione” i ruoli sono cambiati.
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Uffici Azimut, Verona Foto: Simone Bossi
Uffici Azimut, Verona Foto: Simone Bossi


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A partire dalla presa di coscienza, da parte dell’operatore, che il lavoro non è più solo andare in ufficio ma è il creare una relazione tra il lavorare e il luogo, è nata da parte delle aziende la necessità di rivedere gli ambienti lavorativi e, in un processo quasi al contrario, di trasformare i “vecchi” uffici in spazi del tutto simili alle nostre case, dove chi lavora possa ricrearsi in tutto o in parte uno spazio declinato alla sua maniera. Da questo momento è nata la necessità di creare un appeal per far sì che i dipendenti tornino ad un luogo di lavoro condiviso con i colleghi. È proprio la “condivisione” la parola cruciale che lo smart working ci ha fatto perdere di vista. La questione, secondo noi progettisti, deriva infatti da un’analisi che va oltre le modalità del lavorare e che va vista sotto un aspetto sociologico, dove il lavorare non è un mero atto produttivo ma una necessità di interrelazioni, di confronto e di crescita. Compito della progettazione di questi nuovi luoghi “rivoluzionari” è dapprima individuare le attività che vi si svolgono, non più lavori da scrivania ma perlopiù riunioni, b2b, brain storming. L’andare in ufficio e, il lavorare in generale, dal nostro punto di vista risulta come una parte fondante del vivere; questo concetto prescinde dal ruolo produttivo all’interno della società e assume il significato del relazionarsi verso l’esterno, dell’imparare, del crescere, del dichiarare un proprio ruolo.
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Uffici HDI, Firenze – Foto: Margherita Caldi Inchingolo

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Da queste ultime considerazioni parte la nostra ricerca architettonica in tema di luoghi di lavoro. I nostri concept partono dalle aspettative di ogni lavoratore in questo momento storico post-pandemia: la richiesta di trovare continuità tra lo spazio privato, in cui si lavora per alcuni giorni, e quello aziendale in cui si ricerca il medesimo confort domestico, la stessa sicurezza sanitaria, lo stesso home feeling. Il nostro impegno è volto alla necessità di individuare luoghi di lavoro che promuovono la collaborazione e le relazioni interne e allo stesso tempo implementare la connettività verso l’esterno, nel difficile equilibrio del lavoro “ibrido”.

Il nostro ruolo di progettisti è quello di dare una forma plastica a queste necessità, nel caso di “modourbano” questo intento progettuale non può fare a meno di applicare un’idea di città e dello spazio che contraddistingue il nostro lavoro.


A cura della redazione

Officelayout è la rivista di Soiel International, in versione cartacea e on-line, dedicata ai temi della progettazione, allestimento e gestione degli spazi ufficio e degli edifici del terziario

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